venerdì 14 dicembre 2012

Materiali per la riscrittura (novembre 2012)

Riscrivi le seguenti frasi


(Correggi la punteggiatura, l’ortografia e il lessico e riscrivi la frase modificando le parti sottolineate –ma non solo!- nella forma e nelle scelte lessicali, dividendo le frasi troppo lunghe e cercando di renderle chiare e scorrevoli)

Traccia sui giorni di festa

In questo modo i giorni di festa non sono più momenti per stare insieme, per sospendere l’abitudinarietà di tutti i giorni, o semplicemente per avere un po’ di tranquillità rispetto agli altri giorni.
(lessico ripetitivo)


Accettavo senza esitare quanto deciso dai miei “superiori”.
(espressione inappropriata)

Il vero problema sta nel fatto che, i commercianti, per tenere aperta l’attività, non hanno più una vita privata.
(punteggiatura)

Si rifletta, quindi, su che senso abbia la domenica e l’interruzione del tempo a mio parere fondamentale e necessario per ogni uomo.
(frase mal formulata)

Vicini alle vacanze di Natale radio, tv, spot pubblicitari e giornali propongono già idee regalo e vacanze.

E’ dura pensare alle vacanze di Natale e all’organizzazione di queste.
(uso dei pronomi)

La prova che la società può cambiare siamo noi, che dalle piccole cose, che possono essere domeniche o Natali, ne ricaviamo grandi esperienze.
(lessico, pleonasmo, espressione mal formulata)

I giorni di festa vengono sia trascorsi come giornate di assoluto riposo sia come opportunità per vivere senza il dovere del lavoro.
(posizione)

In cuor mio vorrei trascorrere una normale giornata senza l’obbligo scolastico.
(posizione e espressione mal formulata)

Essendo così ossessionati nel trascorrere pienamente l’esistenza, ci lasciamo sfuggire piccoli momenti intimi.
(espressione mal formulata)

Perché la maggior parte della popolazione trascorre le giornate festive come se fossero comuni?
(lessico)


I giorni di festa sono i più adatti per dedicare riposo al nostro corpo e alla mente. Perché rinunciarli trascorrendo il tempo nei negozi?
(lessico e pronome)


Ricordando che la settimana è occupata dal lavoro a tempo pieno, almeno la domenica si potrebbe dedicare alle persone care.
(posizione)

Altri considerano lo shopping non come una forma di stress, ma piuttosto come un rilassamento, avendo il coraggio di imbattersi tra il caos della gente trovando qualcosa di interessante da comprare.
(lessico; troppi gerundi)

Preferisco guardare con ammirazione una vetrina allestita con capi di abbigliamento, anziché davanti a un famoso monumento.
(lessico e sintassi)

Anche la domenica per quanto possibile ballando fino allo sfinimento.
(sintassi)

Abbiamo bisogno di “staccare la spina” dall’echeggiante routine quotidiana.
(lessico)

Non tutti la pensano come me, infatti una parte della società unifica l’intera settimana, compiendo tutti i giorni la solita routine, sottovalutando il significato e il valore che la festività possiede.
(punteggiatura, lessico, troppi gerundi)

Il piacere di fare spese ora rinnegato a causa della crisi economica.
(lessico e sintassi)

I figli ne rimangono entusiasmati.
(lessico)

Ah, il buon profumino dei piatti preparati dalla nonna!
(lessico)



Traccia sulle abitudini

Non trasformiamo anche le cose semplici in ossessioni.
(tieni conto che si tratta di un imperativo)

Questo comportamento le hanno portate ad essere persone monotone.
(concordanza)

La giornata ci mette a disposizione solo 24 ore tra le quali otto vanno subito sottratte per il tempo che si occupa per dormire.
(espressione mal formulata)


Non avere queste azioni di riferimento infondono nelle mie giornate solo noia e tristezza.
(concordanza)

L’abitudinarietà rende monotone le giornate e povere di soddisfazioni.
(posizione)

Sapere che all’interno del mio grande puzzle non c’è posto per altri tasselli, mi tranquillizza anche ciò.
(posizione)

E’ peggio di un’equazione algebrica a tre incognite, trovare la loro soluzione è impossibile.
(connettivo; prova a trasformare la seconda parte in una relativa)

Non adoro essere estremamente impegnata.
(lessico)

Ma, finché si è piccoli certe cose non sono stressanti, al massimo possono essere noiose, ma, crescendo, diventa tutto il contrario.
(punteggiatura e connettivo)

Gran parte delle persone si lamentano.
(concordanza)

Portare a termine i nostri piccoli impegni, ci fa sentire più al sicuro e piacevolmente bene.
(punteggiatura e lessico)


venerdì 7 dicembre 2012

Né bamboccioni né “choosy”. I giovani d’oggi ce li spiega Kant

Né bamboccioni né “choosy”. I giovani d’oggi ce li spiega Kant
di Umberto Curi

Leggendo il filosofo tedesco e Platone si capisce meglio la società dei minorenni
Corriere della Sera – La Lettura 2 dicembre 2012

Il copyright è saldamente nelle mani di Tommaso Padoa-Schioppa. Nell'ottobre del 2007, l'allora titolare del ministero dell'Economia nel secondo governo Prodi aveva infatti definito «bamboccioni» quei giovani che, sulla soglia dei trent'anni, continuavano a vivere in casa con i genitori. Benché duramente contestata, quella espressione era destinata ad aprire la strada a un vero florilegio di definizioni, analoghe nel contenuto, anche se differenti nella forma. Nel giro di pochi anni, malgrado l'avvicendarsi dei governi, i giovani sarebbero stati chiamati «mammoni» (Brunetta, ministro del governo Berlusconi), «sfigati» (Martone, viceministro del governo Monti), «monotoni» (Monti, presidente del Consiglio), «choosy», più o meno: schizzinosi (Fornero, ministro del governo Monti), solo perché non avevano ancora conseguito la laurea, o perché aspiravano a un posto fisso, in un mercato del lavoro in cui la flessibilità è in realtà un eufemismo per indicare la precarietà.
Non si può dire che le polemiche divampate dopo queste esternazioni siano state un modello di eleganza o di rigore concettuale. Eppure, al fondo di un dibattito culturalmente desolante vi sarebbe in realtà una questione tutt'altro che banale o trascurabile. La si potrebbe riassumere nei termini seguenti: come si diventa maggiorenni? Assodata l'insufficienza del criterio puramente anagrafico, in base al quale la maggiore età coinciderebbe con il raggiungimento dei 18 anni, a quali parametri razionalmente definibili ci si può riferire per valutare la fuoriuscita dalla minorità? E poi: davvero basta abitare da soli, o essere disponibili a cambiare lavoro, per allontanare da sé l'infamante epiteto di choosy?
Una risposta appena un po' meno occasionale a questi interrogativi può essere rintracciata in due testi filosofici, la cui importanza — anche per la comprensione di alcuni temi legati alla diatriba di cui parliamo — è abitualmente ignorata, o almeno non adeguatamente valorizzata. Da una secca definizione della minorità prende le mosse anzitutto un saggio di Immanuel Kant, tanto rilevante quanto per lo più negletto, anche perché offuscato dalla risonanza suscitata dalle tre Critiche[i]. Essa non dipende affatto, secondo il filosofo, dall'età, ma consiste piuttosto in una carenza decisiva, quale è «l'incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro».
È opportuno sottolineare che lo scritto kantiano compare originariamente non in una rivista filosofica specializzata, ma in quello che si potrebbe definire un periodico di «varia umanità», quale era la «Berlinische Monatsschrift», in risposta a un interrogativo proposto nel fascicolo precedente da un religioso, il quale chiedeva che qualcuno si prendesse la briga di spiegare «che cos'è l'Aufklärung». Conservare, almeno provvisoriamente, il termine tedesco non è una inutile civetteria, ma corrisponde all'esigenza di evitare i fraintendimenti ai quali ha dato luogo la traduzione italiana corrente, e gravemente negligente. Mentre, infatti, nel testo originale Aufklärung indica insieme quel movimento culturale che è stato chiamato «Illuminismo» e il «rischiaramento», inteso come processo mediante il quale è possibile «fare chiarezza», la traduzione italiana appiattisce l'ambivalenza del termine tedesco, rendendolo univocamente con «Illuminismo». Mentre è del tutto evidente che l'iniziativa assunta da Kant con la sua Risposta, pubblicata nel gennaio del 1784, non è motivata dalla volontà (che sarebbe poco comprensibile) di offrire una definizione tecnica di un movimento filosofico, quanto piuttosto dalla ben più significativa esigenza di spiegare in che modo si possa realizzare il «rischiaramento» intellettuale. Ne è prova il testo del saggio, scritto in maniera limpida e particolarmente incisiva, senza alcuna concessione a «tecnicalità» filosofiche, presumibilmente inadatte al pubblico eterogeneo a cui si rivolgeva la rivista. Aufklärung — scrive Kant — è uscire dallo stato di minorità, è avere il coraggio di servirsi della propria intelligenza, senza soggiacere alla guida di altri. Più esattamente, essa si identifica con una decisione — quella di diventare Selbstdenker, vale a dire letteralmente «uno che pensa con la propria testa». Né questo monito deve apparire scontato o pleonastico.
Al contrario, secondo il filosofo, «la stragrande maggioranza degli uomini ritiene il passaggio allo stato di maggiorità, oltre che difficile, anche pericoloso», e dunque preferisce sottrarsi a quella «fastidiosa occupazione» che richiede l'uso libero delle proprie capacità intellettuali. «È così comodo — sottolinea ancora l'autore delle Critiche — essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che valuta la dieta per me eccetera, non ho certo bisogno di sforzarmi da me».
Di qui una conclusione linearmente deducibile dalle premesse poste: se si vuole diventare maggiorenni, è necessario sottrarsi alla custodia di quei tutori che costantemente invitano a non ragionare («L'ufficiale dice: non ragionate, fate esercitazioni militari! L'intendente di finanza: non ragionate, pagate! L'ecclesiastico: non ragionate, credete!»), usando invece sistematicamente la propria intelligenza, senza soggiacere alla presunta autorità altrui. Insomma, minorenni — o se si preferisce «bamboccioni» — si può essere a qualunque età. Lo è anzi chiunque fra noi eviti di pensare con la propria testa, delegando di conseguenza ad altri questa «fastidiosa occupazione».
Un ragionamento convergente con quello contenuto nel saggio kantiano si ritrova già in uno dei Dialoghi platonici più noti, anche se spesso misinterpretato. Al centro del Sofista, infatti, vi è la ricerca, condotta da due personaggi presumibilmente «giovani» (tale è se non altro con certezza Teeteto, mentre il suo interlocutore, presentato come lo Straniero, proveniente da Elea, è giovane se non altro nel senso della sua condizione di discepolo rispetto al «grande» Parmenide), impegnati a fornire una definizione della figura del sofista. L'indagine a due voci prosegue a ritmo serrato, e con esiti apparentemente soddisfacenti, fino a che i protagonisti si imbattono in una difficoltà che minaccia di compromettere radicalmente l'impresa nella quale si stanno cimentando. Per poter sostenere la conclusione alla quale sono pervenuti, e cioè che il sofista è colui che esercita l'arte di far apparire ciò che non è, essi dovrebbero implicitamente riconoscere che anche il non essere, da un certo punto di vista è, mentre l'essere, sia pure da un certo punto di vista, non è. Ma questa affermazione contraddice frontalmente un divieto, quello proveniente dal «padre» Parmenide, secondo il quale il non essere è «inesprimibile», «impronunciabile», «illogico».
La situazione nella quale si vengono a trovare Teeteto e lo Straniero appare dunque inchiodata a un'alternativa drammatica: piegarsi all'osservanza della proibizione parmenidea, con ciò tuttavia privandosi del logos, e dunque perdendo la possibilità di dire alcunché, ovvero avere il coraggio di epitíthesthai tó patrikó lógo — «dare l'attacco al discorso paterno». L'impiego di una metafora bellica non è casuale nel contesto di un dialogo in cui ritornano insistentemente termini desunti dal lessico polemologico. Serve a sottolineare quanto delicata sia la scelta che si è chiamati a compiere, quanto sia letteralmente vitale — «questione di vita o di morte», si legge nel testo platonico — la posta in gioco. È noto il compimento di questo percorso. Onde riprendere la possibilità di parlare e di pensare, i due interlocutori saranno indotti a «torturare» il padre e a «usare violenza» su di lui, giungendo al punto da sfiorare il parricidio. Per quanto temerario possa apparire questo esito, esso resta l'unica possibile via da percorrere, l'unico modo per riguadagnare il cammino, uscendo dalla mancanza di strada, dall'a-poria, dunque, in cui ci si era imbattuti. Mentre, infatti, Parmenide vorrebbe «trattarci da bambini», «raccontandoci delle favole» e «dialogando con noi con atteggiamento di sufficienza», è imperativo per noi riprenderci il logos, e assoggettare a un vaglio rigoroso le affermazioni «paterne». Dopo questa autentica svolta, improntata alla rinuncia a ogni filiale subordinazione, la ricerca che si era incagliata può riprendere, giungendo speditamente alla sua conclusione. Teeteto e lo Straniero sono diventati maggiorenni. Non subiranno più i divieti del padre «venerando e terribile». Non accetteranno di farsi trattare da bambini, né si accontenteranno di ascoltare delle favole.
Il compimento dell'intenso drama descritto da Platone ci riporta alla Risposta kantiana. Essere maggiorenni non è un dato di carattere anagrafico, né una condizione statica, nella quale si possa dire di risiedere stabilmente. È una conquista, che impegna energie morali, come il coraggio e la decisione, e risorse intellettuali. Ed è la meta, mai definitivamente raggiunta, di una lotta anzitutto con se stessi, con la viltà di chi preferisca affidarsi alla tutela altrui. E forse allora si può comprendere fino in fondo il senso dell'affermazione kantiana quando rileva, con un realismo spinto fino al disincanto, che minorenne è ancora la stragrande maggioranza degli uomini. Insomma, per quanto possa apparire paradossale, i giovani che al giorno d'oggi stanno lottando per guadagnarsi la loro autonomia sono meno bamboccioni di coloro che ripetono acriticamente le formule imposte da altri.



[i] L’autore qui si riferisce alle tre opere filosofiche fondamentali di Kant: Critica della Ragion pura (1781), Critica della Ragion pratica (1788), Critica del Giudizio (1790)