Lucio Russo,
storico della scienza, firma una difesa degli studi umanistici (Mondadori).
Dagli antichi
potremmo mutuare un’idea di cultura che non separi i campi del sapere
Non “classico”
ma “critico”
Perché il liceo
ci serve ancora
di Luciano Canfora
(Corriere della Sera, giovedì 22 marzo 2018)
Con la sana vis polemica e
l’intelligenza vigile che gli sono caratteristiche, Lucio Russo, nel suo
recente saggio Perché la cultura classica (Mondadori), mette in luce il nesso
che vi è tra il «provincialismo» nostrano (di cui la bocconiana fisima di far lezione
in inglese, magari anche se la disciplina in questione fosse «dialettologia
italiana») e l’isterica avversione per gli ordini di scuole dove si insegnano
il greco antico o il latino o entrambi. Russo non è soltanto un ragguardevole
storico della scienza ma anche un cittadino politicamente consapevole (tale da
superare, io credo, persino il severo esame cui il nostro Cassese vorrebbe
sottoporre gli aspiranti al diritto elettorale). Perciò commenta con queste
parole l’inversione di tendenza che forse da ultimo si profila: «Negli ultimi
anni il calo dell’entusiasmo per la globalizzazione e il declino dell’impero
americano hanno dato spazio anche in Italia alla difesa della diversità
culturale». Ed effettivamente anche di questo si tratta: le lingue e le civiltà
antiche sono state messe sotto accusa con le motivazioni più varie e
stravaganti, e per un tempo non breve i «pasdaran» della lotta al liceo le
additavano come segno del nostro ritardo e «ostacolo — scrive Russo — sulla via
dell’omogeneizzazione planetaria, perseguita con forza dai protagonisti del
mercato globale».
Il libro di Lucio Russo ha, tra gli
altri, il merito di saper valutare i lati positivi del bagaglio di conoscenze
storico-linguistiche del cosiddetto mondo «classico» con l’occhio di chi muove
da un altro campo del sapere: quello delle scienze. Ma si spinge oltre la
generica «difesa». Egli lancia una proposta molto interessante: «La cultura
classica, se profondamente rivisitata, potrebbe assumere di nuovo, pur se in
modo diverso, quel ruolo unificante svolto in passato e per il quale non è mai
stato trovato un valido sostituto».
Tutti ricordiamo le dispute sulla dannosa
separazione tra «le due culture» (scientifica e umanistica). Ed è sana
aspirazione quella a una compenetrazione di esse. In realtà è nei pilastri
della «licealità» che può trovarsi il rimedio. Non è trascurabile il fatto che
nel mondo greco ed ellenistico si ritrovino gli inizi di tutti i rami del
sapere e di tutte le pratiche intellettuali (economia politica inclusa). Ciò
significa che quello fu un momento della nostra civiltà in cui i saperi — che
formano l’intelligenza critica — non solo coabitavano ma interreagivano. I
pilastri del liceo — che ne fanno un «liceo critico» (termine che adotterei
volentieri in luogo del non chiaro «classico») — sono la storia del pensiero
filosofico-scientifico, lo studio della storia (cioè l’abitudine
all’accertamento dei fatti), l’abito mentale filologico (distinguere vero e
falso), la logica e la matematica, la traduzione: che è il più completo e
divertente esercizio mentale, in grado di mobilitare contemporaneamente
capacità analitica e intuizione. Giustamente Russo — a chi svaluta questo
esercizio con l’argomento «tanto ci sono le traduzioni» … — suggerisce di dare
un’occhiata a «Dante in una “buona traduzione” inglese». Buona lettura.