Incipit del I capitolo
Confronto
tra la I e la III redazione
Fermo e Lucia (1823)
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I Promessi Sposi (1840)
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Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che
giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno,
dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale
grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento
delle onde si cangia in un corso diretto e continuato di modo che dalla riva
si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume.
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Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno,
tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda
dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a
ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a
destra, e un’ampia costiera dall’altra parte;
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Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive,
rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione:
poiché gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le
onde a battere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso
quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso romore dell'acqua, la
quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni sull'arena, e a pochi passi
tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per
così dire fluviale. Dalla parte che guarda a settentrione e che a quel punto
si può chiamare la riva destra dell’Adda, il ponte posa sopra un argine
addossato alla estrema falda del Monte di San Michele, il quale si bagnerebbe
nel fiume se l’argine non vi fosse frapposto. Ma dall’opposto lato il ponte è
appoggiato al lembo di una riviera che scende verso il lago con un molle
pendio, sul quale per lungo tratto il passaggero può quasi credere di
scorrere una perfetta pianura.
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e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che
renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto
in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago
dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e
rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
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Questa riviera è manifestamente formata da tre
grossi torrenti i quali spingendo la ghiaja, i ciottoli, e i massi rotolanti
dal monte, hanno a poco a poco spinte le rive avanti nel lago, ed erano
abbastanza vicini perché le ghiaje gettate da essi a destra e a sinistra
abbiano potuto col tempo toccarsi e formare un terreno sodo. Allora hanno
cominciato a correre in un letto alquanto più regolare, poiché questi stessi
depositi hanno loro servito d’argine, e il successivo loro impicciolimento
cagionato dall’abbassamento dei monti, dal diboscamento, e dalla dispersione
delle acque gli ha rinchiusi in un letto più angusto. Così il terreno che li divide
ha potuto essere abitato e coltivato dagli uomini.
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La costiera, formata dal deposito di tre grossi
torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino,
l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in
fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talchè non è chi, al primo
vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che
guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in
quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma
più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo;
poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura
de’ due monti, e il lavoro dell’acque.
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Il lembo della riviera che viene a morire nel lago è
di nuda e grossa arena presso ai torrenti, e uliginoso negli intervalli, ma
appena appena dove il terreno s’alza al disopra delle escrescenze del lago e
del traripamento della foce dei torrenti, ivi tutto è prati campagne e
vigneti, e questo tratto d’ineguale lunghezza è in alcuni luoghi forse d’un
miglio. Dove il pendio diventa più ripido son più frequenti, e assai più lo
erano per lo passato, gli ulivi; al disopra di questi e sulle falde antiche
dei monti cominciano le selve di castagni, e al di sopra di queste sorgono le
ultime creste dei monti in parte nudo e bruno macigno in parte rivestite di
pascoli verdissimi, in parte coperte di carpini, di faggi, e di qualche
abete. Fra questi alberi crescono pure varie specie di sorbi, e di dafani, il
cameceraso, il rododendro ferrugigno, ed altre piante montane le quali
rallegrano e sorprendono il cittadino dilettante di giardini che per la prima
volta le vede in quei boschi, e che non avendole incontrate che negli orti e
nei giardini è avvezzo a considerarle colla fantasia come quasi un prodotto
della coltura artificiale piuttosto che una spontanea creazione della natura.
Dove però la mano dell’uomo ha potuto portare una più fruttifera coltivazione
fino presso alle vette, non ha lasciato di farlo, e si vedono di tratto in
tratto dei piccioli vigneti posti su un rapido pendio, e che terminano col
nudo sasso del comignolo. La riviera è tutta sparsa di case e di villaggi:
altri alla riva del lago, anzi nel lago stesso quando le sue acque
s’innalzano per le piogge, altri sui varj punti del pendio, fino al punto
dove la montagna è nuda, perpendicolare, ed inabitabile.
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Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti,
è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre,
di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la
montagna.
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Lecco è la principale di queste terre e dà il nome
alla riviera: un grosso borgo a questi tempi, e che altre volte aveva l’onore
di essere un discretamente forte castello, onore al quale andava unito il
piacere di avervi una stabile guarnigione, ed un comandante, che all’epoca in
cui accade la storia che siamo per narrare era spagnuolo.
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Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome
al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene
in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al
giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero
i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche
un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il
vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan
la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in
tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate,
non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire
a’ contadini le fatiche della vendemmia.
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Dall’una all’altra di queste terre, dalle montagne
al lago, da una montagna all’altra corrono molte stradicciuole ora erte, ora
dolcemente pendenti, ora piane, chiuse per lo più da muri fatti di grossi
ciottoloni, e coperti qua e là di antiche edere le quali, dopo aver colle
barbe divorato il cemento, ficcano le barbe stesse fra un sasso e l’altro, e
servono esse di cemento al muro che tutto nascondono. Di tempo in tempo
invece di muri passano le anguste strade fra siepi nelle quali al pruno e al
biancospino s’intreccia di tratto in tratto il melagrano, il gelsomino, il
lilac e il filadelfo. Una di queste strade percorre tutta la riviera ora
abbassandosi, ora tirando più verso il monte, ora in mezzo alle vigne, ed ora
sulla linea che divide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta
seppellita fra due muri che superano la testa del passaggero, dimodoché egli
non vede altro che il cielo e le vette dei monti:
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Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla
riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e
stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due
muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e
qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti:
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ma spesso lascia un libero campo alla vista la quale
quasi ad ogni passo scopre nuovi ampi e bellissimi prospetti. Poiché
guardando verso settentrione tu vedi il lago chiuso nei monti, che sporgono
innanzi e rientrano, e formano ad ogni tratto seni, o ameni o tetri, finché
la vista si perde in uno sfondo azzurro di acque e di montagne; verso
mezzogiorno vedi l’Adda che appena uscita dagli archi del ponte torna a
pigliar figura di lago, e poi si ristringe ancora e scorre come fiume dove il
letto è occupato da banchi di sabbia portati da torrenti, che formano come
tanti istmi: dimodoché l’acqua si vede prolungarsi fino all’orizzonte come
una larga e lucida spira. Sul capo hai i massi nudi e giganteschi, e le
foreste, e guardando sotto di te, e in faccia, vedi il lungo pendio distinto
dalle varie colture, che sembrano strisce di varj verdi, il ponte ed un breve
tratto di fiume fra due larghi e limpidi stagni, e poscia risalendo collo
sguardo lo arresti sul Monte Barro che ti sorge in faccia, e chiude il lago
dall’altra parte. Ma non termina quel monte la vista da ogni parte, poiché di
promontorio in promontorio declina fino ad una valle che lo separa dal monte
vicino; e come in alcune parti la stradetta si eleva al disopra del livello
di questa valle, da quei punti il tuo occhio segue fra i due monti che hai in
prospetto un’apertura che dalla valle ti lascia travedere qualche parte
dell’amenissimo piano che è posto al mezzogiorno del Monte Barro. La
giacitura della riviera, i contorni, e le viste lontane, tutto concorre a
renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi
passata una gran parte della infanzia e della puerizia, e le vacanze
autunnali della prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare un
giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli
anni.
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e da qui la vista spazia per prospetti più o meno
estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti
piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o
quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un
pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio
dell’acqua; di qua lago, chiuso all’estremità o piuttosto smarrito in un
gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra
altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l’acqua
riflette capovolti, co’ paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume,
poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur
tra’ monti che l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi
anch’essi nell’orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari
spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le
falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte,
rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi
ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco
innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle
falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico
dell’altre vedute.
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