venerdì 25 ottobre 2019

Promessi Sposi: Incipit del I capitolo (confronto tra la I e la III redazione)


Incipit del I capitolo
Confronto tra la I e la III redazione


Fermo e Lucia (1823)
I Promessi Sposi (1840)

Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato di modo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume.

Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte;
Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione: poiché gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso romore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni sull'arena, e a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale. Dalla parte che guarda a settentrione e che a quel punto si può chiamare la riva destra dell’Adda, il ponte posa sopra un argine addossato alla estrema falda del Monte di San Michele, il quale si bagnerebbe nel fiume se l’argine non vi fosse frapposto. Ma dall’opposto lato il ponte è appoggiato al lembo di una riviera che scende verso il lago con un molle pendio, sul quale per lungo tratto il passaggero può quasi credere di scorrere una perfetta pianura.

e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
Questa riviera è manifestamente formata da tre grossi torrenti i quali spingendo la ghiaja, i ciottoli, e i massi rotolanti dal monte, hanno a poco a poco spinte le rive avanti nel lago, ed erano abbastanza vicini perché le ghiaje gettate da essi a destra e a sinistra abbiano potuto col tempo toccarsi e formare un terreno sodo. Allora hanno cominciato a correre in un letto alquanto più regolare, poiché questi stessi depositi hanno loro servito d’argine, e il successivo loro impicciolimento cagionato dall’abbassamento dei monti, dal diboscamento, e dalla dispersione delle acque gli ha rinchiusi in un letto più angusto. Così il terreno che li divide ha potuto essere abitato e coltivato dagli uomini.

La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talchè non è chi, al primo vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque.
Il lembo della riviera che viene a morire nel lago è di nuda e grossa arena presso ai torrenti, e uliginoso negli intervalli, ma appena appena dove il terreno s’alza al disopra delle escrescenze del lago e del traripamento della foce dei torrenti, ivi tutto è prati campagne e vigneti, e questo tratto d’ineguale lunghezza è in alcuni luoghi forse d’un miglio. Dove il pendio diventa più ripido son più frequenti, e assai più lo erano per lo passato, gli ulivi; al disopra di questi e sulle falde antiche dei monti cominciano le selve di castagni, e al di sopra di queste sorgono le ultime creste dei monti in parte nudo e bruno macigno in parte rivestite di pascoli verdissimi, in parte coperte di carpini, di faggi, e di qualche abete. Fra questi alberi crescono pure varie specie di sorbi, e di dafani, il cameceraso, il rododendro ferrugigno, ed altre piante montane le quali rallegrano e sorprendono il cittadino dilettante di giardini che per la prima volta le vede in quei boschi, e che non avendole incontrate che negli orti e nei giardini è avvezzo a considerarle colla fantasia come quasi un prodotto della coltura artificiale piuttosto che una spontanea creazione della natura. Dove però la mano dell’uomo ha potuto portare una più fruttifera coltivazione fino presso alle vette, non ha lasciato di farlo, e si vedono di tratto in tratto dei piccioli vigneti posti su un rapido pendio, e che terminano col nudo sasso del comignolo. La riviera è tutta sparsa di case e di villaggi: altri alla riva del lago, anzi nel lago stesso quando le sue acque s’innalzano per le piogge, altri sui varj punti del pendio, fino al punto dove la montagna è nuda, perpendicolare, ed inabitabile.

Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna.
Lecco è la principale di queste terre e dà il nome alla riviera: un grosso borgo a questi tempi, e che altre volte aveva l’onore di essere un discretamente forte castello, onore al quale andava unito il piacere di avervi una stabile guarnigione, ed un comandante, che all’epoca in cui accade la storia che siamo per narrare era spagnuolo.
Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d’oggi, e che s’incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’ contadini le fatiche della vendemmia.

Dall’una all’altra di queste terre, dalle montagne al lago, da una montagna all’altra corrono molte stradicciuole ora erte, ora dolcemente pendenti, ora piane, chiuse per lo più da muri fatti di grossi ciottoloni, e coperti qua e là di antiche edere le quali, dopo aver colle barbe divorato il cemento, ficcano le barbe stesse fra un sasso e l’altro, e servono esse di cemento al muro che tutto nascondono. Di tempo in tempo invece di muri passano le anguste strade fra siepi nelle quali al pruno e al biancospino s’intreccia di tratto in tratto il melagrano, il gelsomino, il lilac e il filadelfo. Una di queste strade percorre tutta la riviera ora abbassandosi, ora tirando più verso il monte, ora in mezzo alle vigne, ed ora sulla linea che divide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppellita fra due muri che superano la testa del passaggero, dimodoché egli non vede altro che il cielo e le vette dei monti:

Dall’una all’altra di quelle terre, dall’alture alla riva, da un poggio all’altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti:
ma spesso lascia un libero campo alla vista la quale quasi ad ogni passo scopre nuovi ampi e bellissimi prospetti. Poiché guardando verso settentrione tu vedi il lago chiuso nei monti, che sporgono innanzi e rientrano, e formano ad ogni tratto seni, o ameni o tetri, finché la vista si perde in uno sfondo azzurro di acque e di montagne; verso mezzogiorno vedi l’Adda che appena uscita dagli archi del ponte torna a pigliar figura di lago, e poi si ristringe ancora e scorre come fiume dove il letto è occupato da banchi di sabbia portati da torrenti, che formano come tanti istmi: dimodoché l’acqua si vede prolungarsi fino all’orizzonte come una larga e lucida spira. Sul capo hai i massi nudi e giganteschi, e le foreste, e guardando sotto di te, e in faccia, vedi il lungo pendio distinto dalle varie colture, che sembrano strisce di varj verdi, il ponte ed un breve tratto di fiume fra due larghi e limpidi stagni, e poscia risalendo collo sguardo lo arresti sul Monte Barro che ti sorge in faccia, e chiude il lago dall’altra parte. Ma non termina quel monte la vista da ogni parte, poiché di promontorio in promontorio declina fino ad una valle che lo separa dal monte vicino; e come in alcune parti la stradetta si eleva al disopra del livello di questa valle, da quei punti il tuo occhio segue fra i due monti che hai in prospetto un’apertura che dalla valle ti lascia travedere qualche parte dell’amenissimo piano che è posto al mezzogiorno del Monte Barro. La giacitura della riviera, i contorni, e le viste lontane, tutto concorre a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli anni.

e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e variato specchio dell’acqua; di qua lago, chiuso all’estremità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l’acqua riflette capovolti, co’ paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra’ monti che l’accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch’essi nell’orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’altre vedute.





mercoledì 16 ottobre 2019

Fubini - Chi pensa ai giovani?


Chi pensa ai giovani?
C’è sempre uno scarto fra ciò che servirebbe a un Paese per usare al meglio le proprie risorse e ciò che serve ai partiti che lo governano, o ai loro elettori. Non succede solo in Italia: è l’essenza della democrazia che le decisioni non riflettano una razionalità astratta. Coloro che preferiscono quest’ultima — il governo degli esperti — nei sondaggi di solito sono gli stessi che poi si dichiarano a favore dell’uomo forte. Fra quest’ultimo e una manovra finanziaria imperfetta, sempre meglio la seconda. Ora però che la legge di Bilancio rosso-gialla è atterrata a Bruxelles, proviamo un esperimento: come sarebbe stato questo pacchetto in assenza di gravità politica? Cosa avrebbe deciso con i cinque miliardi a disposizione un tiranno illuminato, per perseguire l’interesse collettivo e di lungo termine degli italiani? Perché di questo si tratta: assolti gli impegni urgenti dello Stato e bloccato l’aumento dell’Iva, restava da allocare una somma pari a un trecentesimo del reddito del Paese. Non un euro di più. Qualche dato rimasto un po’ in ombra aiuta a capire come si potrebbe fare una differenza con una somma tanto piccola: negli ultimi quattro anni (2015-2018), l’Italia è cresciuta quanto la Germania e più della Francia se si guarda al reddito per abitante.
Se invece si prende come metro di misura l’intera economia, l’Italia è rimasta indietro: cresciuta poco più di metà della Germania, molto meno della Francia. In altri termini le persone che restano nel Paese vivono in media un’esperienza di sviluppo più o meno normale per l’Europa. Il problema è che sempre meno persone restano in Italia e chi lascia porta via con sé conoscenze, produttività, domanda di case da abitare o di alimenti da consumare. Negli ultimi nove anni un milione di persone ha preso la porta d’uscita, secondo l’Istat, ma per motivi amministrativi questa è una cifra errata per difetto: sono di più. Proprio qui, nella perdita di un’umanità giovane e dinamica, si trova una grande causa della stagnazione del Paese e dunque anche parte dell’antidoto per spezzare sortilegio.
Bene, un governo degli esperti forse avrebbe concentrato le sue poche risorse per tamponare questa falla: detassare molto il solo lavoro giovanile e femminile, incoraggiare di più le aziende a crescere in dimensioni e tecnologia. Non spruzzare a pioggia minuscoli benefici. Naturalmente quello in carica non è un governo degli esperti, a stento lo è degli eletti. I quattro partiti della maggioranza hanno piena legittimità costituzionale, ovvio, ma non avevano mai chiesto il voto per allearsi e in certi casi si detestano cordialmente. Sanno che molti italiani li sospettano di essersi messi insieme solo per conservare il posto in parlamento e non essere travolti dalla Lega. Dunque M5S, Pd, Leu e persino Italia viva di Matteo Renzi — l’ultima creatura — avvertono su di loro l’enorme pressione psicologica di dare subito qualcosa al maggior numero di elettori possibile. Hanno fretta di dimostrare che nella loro operazione c’è un dividendo anche per i governati, non solo per i governanti.
Il risultato è un bilancio senza una lettura del Paese. La riduzione delle tasse sul lavoro per dieci milioni di persone per ora è di dimensioni quasi impalpabili e lascia il sospetto che gli imprenditori l’abbiano reclamata tanto, in realtà, per non dover essere loro a aumentare i salari. Va detto però che di buono questa manovra ha sicuramente qualcosa: un nuovo inizio nella lotta all’evasione, sacrosanto, benché destinato a porre domande scomode sul diritto alla privacy e a complicare ulteriormente il rapporto delle imprese con l’amministrazione; positivo è anche l’inizio di una scrematura nell’accesso ai benefici fiscali: che un manager da 250 mila euro di reddito l’anno possa scaricare sul debito pubblico parte del suo abbonamento in palestra è un’assurdità tutta italiana. Se però questa stagione di bilancio porta un grande segno meno, è proprio nel rapporto squilibrato fra generazioni. M5S è molto più votato dai giovani eppure, schierato a difesa delle pensioni precoci a «quota 100», ha privilegiato le fasce d’età medio-alta a spese dei suoi stessi elettori. Qui il Movimento sconta l’ambiguità della sua transizione dal patto con la Lega a quello con il Pd e Matteo Renzi. Quanto al Pd, è tornato a coinvolgere i sindacati, com’è naturale; ma questi sono da tempo dominati da lavoratori anziani e pensionati che reclamano già (entro aprile!) l’opposto di ciò che serve al Paese e ai suoi giovani: il disegno di una controriforma strutturale della legge Fornero.
Si oppone a tutto ciò solo Italia viva, però senza vedere la propria contraddizione. La modernizzazione di cui Renzi si fa portabandiera richiede scelte nette: è incompatibile con i compromessi tipici del sistema proporzionale, che pure si intravede come presupposto per la nascita del suo partito. L’esistenza stessa di Italia viva si giustifica con il potere di veto che può avere in una coalizione composita, mentre il programma di Italia viva è da maggioritario puro. Del resto tutta questa Legge di bilancio dà un’anteprima di come dietro il proporzionale sia sempre in agguato il piccolo cabotaggio. La buona notizia è che il crollo degli interessi sul debito e la lotta all’evasione potrebbero liberare molte risorse nei prossimi anni. Sarà il momento per questo governo di mostrare una sua visione della società. Se ne ha una. E, naturalmente, se ai prossimi anni ci arriva.
Federico Fubini (Corriere della Sera, 16 ottobre 2019)


mercoledì 2 ottobre 2019

Esercizio di riscrittura (2AG)


Riscrivi le seguenti frasi


(Correggi la punteggiatura, l’ortografia e il lessico e riscrivi la frase modificando le parti sottolineate –ma non solo!- nella forma e nelle scelte lessicali, dividendo le frasi troppo lunghe e cercando di renderle chiare e scorrevoli)



Questo quadro mi trasmette profonde emozioni, infatti in esso riesco a trovare tutta me stessa.
(punteggiatura)


Un uomo si staglia su un grandioso precipizio, codesto è di spalle.
(uso del pronome; punteggiatura)


Io credo che lui sia come me un grande sognatore, che ami la solitudine e la tranquillità le quali gli permettono di riflettere.
(uso dei pronomi; connettivi)


Spesso non viene considerato un altro campo: il cinema. Questo trasmette un forte impatto emotivo sulle persone e un film, in fin dei conti, serve per trasmettere determinati elementi suggestivi.
(sintesi; uso del pronome)


Personalmente lo consideravo un brutto film, ma dopo averlo visto più volte ho riconosciuto in quest’opera d’arte una profondità davvero affascinante.
(connettivo)


Questo lato di me l’ho riconosciuto guardando il cielo di quest’opera.
(pleonasmo)


Si può vedere un ragazzino che anche se molto giovane, è ricco di coraggio.
(punteggiatura, lessico)


Il Discobolo rappresenta un’atleta che sta per lanciare il disco.
(ortografia)


Questi eventi sono stati raccontati con toni propagandistici, come ad esempio è accaduto durante le 2 guerre mondiali dove attraverso filmati gestiti dai regimi è stata raccontata una versione distorta e non veritiera degli eventi.
(semplificare; lessico, ortografia)



Dovremmo far si che queste tragedie non si ripetano in futuro.
(ortografia)


Per la sua fama, infatti la 500 quest’anno è stata dichiarata un’opera d’arte.
(punteggiatura)






giovedì 19 settembre 2019

Croce: Tornando sul Manzoni


Benedetto Croce
Tornando sul Manzoni

Ho letto che in Inghilterra ha avuto grande fortuna una nuova traduzione inglese che è stata fatta ora dei Promessi sposi, e mi sono ricordato che, circa settanta anni fa, una bella signora svedese, che era stata a lungo a Londra e con la quale m’incontrai in uno stesso albergo delle vicinanze di Napoli, conversando mi raccontò che, essendosi recata da un libraio, assisté allo spettacolo di una signora inglese che entrò furiosa e depose o piuttosto gettò sul banco un libro, dicendo: «Mi avete dato un libro illeggibile, noiosissimo». Ed essa andata via, la signora guardò di che libro si trattasse e vi lesse sopra: MANZONI, I promessi sposi.
È da augurare che la critica letteraria europea cominci a fare ammenda della fredda stima in cui ha tenuto l’opera del Manzoni, che è nel numero delle opere capitali della letteratura europea nel secolo passato. Per parte mia, soglio rileggere questo libro periodicamente e ne traggo sempre commozione e conforto, e sempre rinnovata ammirazione per la perfezione della sua forma. Può sembrare strano che io dica ciò, avendo altra volta stampato che i Promessi sposi sono una bellissima «opera oratoria»; ma veramente debbo confessare che quella impropria parola nacque da un errore o piuttosto da una grossa distrazione nella quale incorsi nel criticare il giudizio corrente e che fu anche del De Sanctis, che i personaggi del Manzoni si distinguano in concreti e realistici come Renzo e don Rodrigo, astratti e ideali come Lucia e fra Cristoforo, e intermedi come don Abbondio; ed io affermai per contrario che il Manzoni usava lo stesso metodo per costruire gli uni e gli altri, e volevo dire che gli uni e gli altri erano prodotto della stessa fantasia artistica, cosa che mi sembra sempre verissima.
Ma quanto all’«opera oratoria», sarei impacciato nell’assegnare l’origine del mio errore, perché vi ebbe parte lo zelo di irreprensibilità cattolica del Manzoni e l’osservazione dello Scalvini, che i Promessi sposi non si svolgessero sotto libero cielo ma sotto la volta di una chiesa; per non dire delle vivaci critiche del Settembrini che in verità non ebbero molto potere su di me. Comunque, da ciò venne che concepii l’idea di una sorta di fusione nell’opera del Manzoni tra Poesia e Oratoria; dal che avevo il dovere di guardarmi più che altri, per la feroce insofferenza da me sempre manifestata per la confusione nella quale artisti e critici incorrevano della Poesia con l’Oratoria. Ma dire l’origine di un errore o di una distrazione è sovente assai difficile, e tale è nel mio caso. Pel quale debbo confessare che sono rimasto molto mortificato tra me e me quando vi sono tornato sopra, ancorché nessuno me n’abbia rimproverato come io meritavo.
Dopo questo ben chiaro mea culpa, alcune correzioni, come è naturale, sono da introdurre in ciò che ho scritto del Manzoni per questa parte, e ne lascio la non difficile cura agli intelligenti lettori.
Piuttosto, sarà da soggiungere qualcosa sul sentimento cattolico del Manzoni: cioè, che esso risponde a una concezione morale della vita quale anche un non cattolico ma di alto animo fa sua. E forse in ciò è la vera origine della diffidenza che la Chiesa cattolica ebbe verso il Manzoni, nel quale non trovava nessuno dei motivi che servivano alla sua politica. Della qual cosa si avvide presto Carlo Cattaneo, che disse che la Chiesa cattolica assai volentieri avrebbe bruciato sul rogo Alessandro Manzoni. E anche di recente abbiamo udito borbottare contro il Manzoni, poco cattolico, che nel suo romanzo aveva messo insieme una monaca incestuosa, un frate omicida, e un parroco vigliacco, e si era mantenuto tacitamente giansenista in tutta la sua vita. Il vero è che precipuo pregio dei Promessi sposi è la sincerità, sempre rigorosamente osservata dal suo autore, che non mostrò di farsene un vanto e la praticò con semplicità di movimenti.
(Lo Spettatore italiano, marzo 1952)



mercoledì 11 settembre 2019

Gramellini: Marilou Reyes


Marilou Reyes

Corriere della Sera (giovedì 22 agosto 2019)
Massimo Gramellini

È proprio vero che ogni vita è un romanzo. Basta seguire il filo invisibile che la attraversa. Così leggi di quella colf filippina, caduta dal quarto piano di una casa del centro di Milano mentre puliva i vetri, e scopri un mondo. Scopri che al suo Paese la colf era una manager, aveva diretto la filiale di una multinazionale americana fino alla crisi del 2006. Scopri che a quarant’anni si era rimessa in gioco, accettando di venire in Italia a fare le pulizie. E scopri che l’aveva fatto per pagare gli studi ai tre figli. Li aveva iscritti alle scuole migliori. Erano il suo pensiero fisso e il suo orgoglio, ma non li vedeva praticamente mai. Aveva rinunciato a goderseli nel presente per dare loro un futuro.
Leggi la storia di Marilou Reyes e scopri che al mondo esiste ancora qualcuno che crede nelle possibilità della scuola di orientare un destino; e che il domani possa essere migliore dell’oggi, al punto da sacrificare il proprio oggi per il domani di chi ama. Scopri tutto questo e ti chiedi se tu avresti la sua stessa forza di ricominciare daccapo, la sua stessa fiducia nel ruolo dell’istruzione e nel riconoscimento del merito. Se saresti capace di trasferirti dall’altra parte del globo e metterti a pulire i vetri di una casa altrui nei giorni di Ferragosto per pagare la retta scolastica dei tuoi figli. A costo di vederli, se va bene, una volta l’anno. A costo di finire in modo così assurdo una vita così gloriosa.


mercoledì 19 giugno 2019

Poesie 2019


Ugo Foscolo

A Zacinto

(composta nel 1802-1803; pubblicata nella raccolta Poesie, 1803)


Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar, da cui vergine nacque                    4

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque                         8

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.                         11

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.                                 14




Giacomo Leopardi
L’infinito
(composta nel 1819; pubblicata nella sezione Idilli della raccolta Canti, 1826)

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani                          5
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce                             10
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.              15


Giovanni Pascoli
X Agosto
(pubblicata nel 1896; inclusa nella 4a ed. della raccolta Myricae, 1903)

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.                          4

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.                          8

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.                   12

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…              16

Ora là, nella casa romita
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.                     20

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!                   24




Charles Baudelaire
L’albatro
(trad di Giovanni Raboni)

Spesso, per divertirsi, i marinai
prendono degli albatri, grandi uccelli di mare
che seguono, compagni indolenti di viaggio,
le navi in volo sugli abissi amari.                                         4

L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, goffo e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le ali grandi e bianche.                           8

Com'è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi, zoppicando, fa il verso allo storpio che volava!          12

Il poeta è come lui, principe dei nembi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
fra le grida di scherno esule in terra,
con le sue ali da gigante non riesce a camminare.             16


L’albatros
(pubblicata nel 1859; inclusa nella 2a ed. della raccolta Les Fleurs du Mal, 1861)

Souvent, pour s'amuser, les hommes d'équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.                          4

À peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l'azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d'eux.                          8

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule!
Lui, naguère si beau, qu'il est comique et laid!
L'un agace son bec avec un brûle-gueule,
L'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait!                 12

Le Poëte est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l'archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l'empêchent de marcher.                    16


  

Thomas S. Eliot
La terra desolata:  I. La sepoltura dei morti (vv. 1-7)
(trad di Alessandro Serpieri)

Aprile è il mese più crudele, generando
Lillà dalla terra morta, mischiando
Memoria e desiderio, eccitando
Spente radici con pioggia di primavera.
L’inverno ci tenne caldi, coprendo                            5
La terra di neve smemorata, nutrendo
Una piccola vita con tuberi secchi.


I. The Burial of the Dead (vv. 1-7)
(sezione dell’opera The Waste Land, 1922) 

April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow, feeding
A little life with dried tubers.


Eugenio Montale
Da Ossi di seppia (1925)

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.                                  4

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.            8


Giuseppe Ungaretti
Veglia
(pubblicata in Il porto sepolto nel 1916; poi inclusa nella raccolta L’Allegria)

Cima Quattro il 23 dicembre 1915 

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore 

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita