domenica 28 settembre 2014

Materiali per la riscrittura (1AG 22 settembre)


Riscrivi le seguenti frasi

 

 

(Correggi la punteggiatura, l’ortografia e il lessico e riscrivi la frase modificando le parti sottolineate –ma non solo!- nella forma e nelle scelte lessicali, dividendo le frasi troppo lunghe e cercando di renderle chiare e scorrevoli)

 

Che cosa mi aspetto di imparare durante le ore di Italiano?

 

 

Il Dio che ammiravo era Poseidone.

(uso delle maiuscole)

 

Poseidone era disegnato su delle carte.

(uso della forma indefinita)

 

Io mi aspetto che le ore di Italiano lascino nella mia persona un segno indelebile.

(uso del pronome; lessico)

 

Spero di acquisire un nuovo modo di pensare ed un forte giudizio critico, l’amore per la vita, il rispetto per ogni forma di cultura, la bellezza della natura e soprattutto le infinite capacità dell’uomo.

(uso della punteggiatura e strutturazione della frase; lessico)

 

La cosa che desidero di più è essere una persona acculturata.

(lessico)

 

Spero di diventare una vera persona, con i propri principi, di crescere moralmente soprattutto.

(punteggiatura; struttura della frase)

 

Io credo che impareremo cose, che adesso, molto probabilmente non sappiamo nemmeno.

(punteggiatura)

 

Cresceremo non tanto di fisico o altro ma di carattere, nel modo di pensare.

(punteggiatura; struttura della frase)

 

Il greco, che rientra nelle materie dell’insegnante di italiano è una lingua che mi affascina.

(punteggiatura)

 

L’italiano è una lingua romanza neolatina, cioè derivata dal latino volgare parlato nell’antichità, tra le più conosciute.

(struttura della frase)

 

Uno dei motivi principali per cui lo studiamo, è quello di voler migliorare, valorizzare ed impreziosire la conoscenza riguardo la nostra cultura.

(semplifica)

 

La sottoscritta ha cominciato a studiare l’italiano in prima elementare.

(forma)

 

Nella grammatica mi aspetto di imparare meglio cose che già so ma di imparare tante di nuove per ampiare la mia conoscenza.

(uso della punteggiatura e dei pronomi; ortografia)

 

A me in letteratura mi piacerebbe molto capire, comprendere quello che pensavano i letterati.

(pleonasmo; parole superflue)

 

In grammatica ho le basi però alle medie non ho avuto una professoressa che è riuscita a spiegarmi bene.

(uso dei pronomi, punteggiatura, lessico)

 

Infine desidero approfondire l’epica classica, uno dei miei argomenti preferiti, soprattutto l’Iliade.

(congiunzione)

 

Spero inoltre di riuscire a sviluppare una passione nel leggere, diventare quindi una “divoratrice di libri”, trovare la tipologia che più preferisco in modo tale da riuscire ad esprimere anche una mia opinione personale al riguardo.

(pleonasmi; uso dei verbi e lessico; punteggiatura; frase lunga e contorta)

 

Inizio col dire che per quanto riguarda questa materia, sono sempre stata fortunata.

(parole superflue)

 

Ho trovato insegnanti che mi hanno coinvolto e spinto a mettermi in gioco.

(concordanza –chi scrive è una ragazza-)

 

Vorrei capire come sono stati influenzati dal clima storico, politico, sociale, presente in quello stato.

(uso della punteggiatura e delle congiunzioni)

 

Occorre conoscere la grammatica, di cui in verità, non sono particolarmente innamorata.

(punteggiatura)

 

Durante le ore di italiano, con la complicità del professore e dei compagni mi aspetto di scoprire il pensiero dei più grandi poeti.

(lessico, punteggiatura)

 

Tra i vari indirizzi del liceo che avrei dovuto affrontare dopo la scuola media ho scelto il liceo classico.

(lessico)

 

Una materia però, continuo a studiarla dalla prima media.

(punteggiatura, dislocazione a sinistra)

 

Mi aspetto di svelare i segreti delle poesie ermetiche.

(lessico)

 

Vorrei in quest’anno, approfondire le mie conoscenze lessicali.

(punteggiatura)

 

Spero che daremo importanza a tutte le varie tecniche, accorgimenti per scrivere meglio.

(uso della congiunzione)

 

In questo testo sarò il più sincera possibile.

(ordine delle parole)

 

Alle elementari ho imparato le due cose fondamentali che bisogna saper fare per imparare l’italiano ovvero leggere e scrivere.

(parole superflue e ripetizione)

 

Ho avuto la possibilità di imparare a conoscere, capire e opinionare i principali temi di attualità.

(lessico, parole superflue)

 

Innanzi tutto vorrei migliorare il mio modo di scrivere dato che non leggendo molto e dovendo ancora apprendere molte nozioni, non è esattamente di mio gradimento.

(uso dei verbi e del lessico; frase contorta)

 

Ritengo di avere parecchie lacune perché, tutti i libri che ho letto, sono opera di autori contemporanei.

(punteggiatura)

 

Credo che la scrittura possa esprimere i nostri pensieri tramite la danza delle parole.

(forma “poetica”?)

 

Dell’italiano mi affascinano particolarmente la letteratura antica.

(concordanza)

 

In secondo luogo mi aspetto di sviluppare le capacità cognitive e di analisi del testo per pter comprendere le frasi che formano un discorso compiuto e per utilizzare vocaboli in maniera consapevole, comprensiva anche dell’origine della terminologia utilizzata.

(forma; frase contorta con ripetizioni inutili; uso del lessico)

 

 

 

 

 

Esempi di introduzione

 

Siamo al Liceo Classico e certamente ne impareremo di cose io e la mia classe!

 

Ho scelto di frequentare il Liceo Classico, perché a mio avviso è l’unica scuola che si fonda sullo studio delle parole.

 

Prima dell’inizio del liceo mi aspettavo una scuola tristissima con professori severi. Per mia fortuna non è stato così.

 

Confesso che non sono una persona alla quale piace crearsi delle aspettative, perché poi ho paura che queste attese vengano deluse.

 

Mi aspettano cinque anni di duro lavoro, di sacrifici, di pomeriggi che dedicherò interamente allo studio; ma sono disposta a tutto questo, perché ho grandi aspettative e perché mi sono posta obiettivi che voglio assolutamente raggiungere.

 

 

 

 

 

 

Esempi di conclusione

 

Spero quindi di imparare nuove cose e attraverso di esse di crescere come persona.

 

Dunque le mie aspettative sono alte e so che per raggiungerle dovrò mettere molto impegno: farò quindi del mio meglio.

 

Spero di appassionarmi a tal punto da non smettere di prendermi cura della nostra lingua materna, che viene spesso sottovalutata.

 

Non vedo l’ora di conoscere nuovi autori dai quali potrò trarre insegnamenti che mi cambieranno “dentro”, perché penso che ogni singolo argomento che tratteremo durante le lezioni di italiano mi trasformerà a poco a poco in una persona migliore.

 

Mi aspetto di imparare a leggere il passato con altri occhi, occhi capaci di non fermarsi all’apparenza, ma di spingersi più a fondo fino a scavare dove i segreti della letteratura sono nascosti.

 

 

Gramellini

AMALiato

   I matrimoni del secolo mi hanno sempre procurato l’orticaria del millennio. Però devo riconoscere che l’avvocato libanese Amal Alamuddin, che a breve diventerà la signora Clooney, è il simbolo tutt’altro che frivolo di una nuova condizione femminile: la risposta di una società evoluta ai tagliagole maschilisti del Califfato.
   Dopo avere testato personalmente ogni genere di maggiorata da copertina, George Clooney porta all’altare una donna più intelligente che bella. A conferma che spesso l’uomo comincia a comportarsi da adulto dopo i cinquant’anni.
   Intendiamoci: Amal è tremendamente affascinante. Ma il suo fascino, ancora più che dai lineamenti troppo marcati, scaturisce dall’energia intelligente del sorriso. Non è frutto di qualche diavoleria chirurgica, ma di una storia. La sua. Quella di un avvocato internazionale specializzato in diritti umani. Colta, indipendente, complessa. Una di quelle donne che hai bisogno di sentire durante il giorno e con cui la sera hai voglia di parlare e poi di farci l’amore. O viceversa, ma senza che una delle due attività escluda l’altra.
  Nelle prossime quarantotto ore, un tempo lunghissimo per la capacità di concentrazione dell’Homo I-Phonicus 6, il sorriso di Amal incrocerà lo sguardo di milioni di persone, molte delle quali confuse e in cerca di modelli, non solo di fotomodelle. Che per una volta la cronaca rosa gliene proponga uno meno avvilente della media, sembrerebbe una buona notizia.

Massimo Gramellini

La Stampa, 27 settembre 2014

venerdì 19 settembre 2014

Manzoni - In morte di Carlo Imbonati

In morte di Carlo Imbonati
Alessandro Manzoni
1806
Versi di Alessandro Manzoni a Giulia Beccaria sua madre
Ch'ambo i vestigi tuoi cerchiam piangendo.
Casa, Gennaio 1806


Se mai più che d’Euterpe il furor santo
E d’Erato il sospiro, o dolce madre,
L’amaro ghigno di Talia mi piacque
Non è consiglio di maligno petto.
Né del mio secol sozzo io già vorrei
Rimescolar la fetida belletta,
Se un raggio in terra di virtù vedessi,
Cui sacrar la mia rima. A te sovente
Così diss’io: ma poi che sospirando,
Come si fa di cosa amata e tolta,
Narrar t’udia di che virtù fu tempio
Il casto petto di colui che piangi;
Sarà, dicea, che di tal merto pera
Ogni memoria? E da cotanto esempio
Nullo conforto il giusto tragga, e nulla
Vergogna il tristo? Era la notte; e questo
Pensiero i sensi m’avea presi; quando,
Le ciglia aprendo, mi parea vederlo
Dentro limpida luce a me venire,
A tacit’orma. Qual mentita in tela,
Per far con gli occhi a l’egra mente inganno,
Quasi a culto, la miri, era la faccia.
Come d’infermo, cui feroce e lungo
Malor discarna, se dal sonno è vinto,
Che sotto i solchi del dolor, nel volto
Mostra la calma, era l’aspetto. Aperta
La fronte, e quale anco gl’ignoti affida:
Ma ricetto parea d’alti pensieri.
Sereno il ciglio e mite, ed al sorriso
Non difficile il labbro. A me dappresso
Poi ch’e’ fu fatto, placido del letto
Su la sponda si pose. Io d’abbracciarlo,
Di favellare ardea; ma irrigidita
Da timor da stupor da reverenza
Stette la lingua; e mi tremò la palma,
Che a l’amplesso correva. Ei dolcemente
Incominciò: Quella virtù, che crea
Di due boni l’amor, che sian tra loro
Conosciuti di cor, se non di volto,
A vederti mi tragge. E sai se, quando
Il mio cor ne le membra ancor battea,
Di te fu pieno; e quanta parte avesti
De gli estremi suoi moti. Or poi che dato
Non m’è, com’io bramava, a passo a passo
Per man guidarti su la via scoscesa,
Che anelando ho fornita, e tu cominci,
Volli almeno una volta confortarti
Di mia presenza. Io, con sommessa voce,
Com’uom, che parla al suo maggiore, e pensa
Ciò che dir debba, e pur dubbiando dice,
Risposi: Allor ch’io l’amorose e vere
Note leggea, che a me dettasti prime,
E novissime furo; e la dolcezza
De l’esser teco presentia, chi detto
M’avria che tolto m’eri! E quando in caldo
Scritto gli affetti del mio cor t’apersi,
Che non saria da gli occhi tuoi veduto,
Chiusi per sempre! Or quanto, e come acerbo
Di te nutrissi desiderio, il pensa.
E come il pellegrin, che d’amor preso
Di non vista città, ver quella move;
E quando spera che la meta il paghi
Del cammin duro e lungo, e fiso osserva
Se le torri bramate apparir veggia;
E mira più da presso i fondamenti
Per crollo di tremuoto in su rivolti,
E le porte abbattute, e fòri e case
Tutto in ruina inospital converso;
E i meschini rimasti interrogando,
Con pianto ascolta raccontar dei pregi
E disegnar dei siti; a questo modo
Io sentia le tue lodi; e qual tu fosti
Di retto acuto senno, d’incolpato
Costume, e d’alte voglie, ugual, sincero,
Non vantator di probità, ma probo:
Com’oggi al mondo al par di te nessuno
Gusti il sapor del beneficio, e senta
Dolor de l’altrui danno. Egli ascoltava
Con volto né superbo né modesto.
Io rincorato proseguia: Se cura,
Se pensier di quaggiù vince l’avello
Certo so ben che il duol t’aggiunge e il pianto
Di lei che amasti ed ami ancor, che tutto,
Te perdendo, ha perduto. E se possanza
Di pietoso desio t’avrà condotto
Fra i tuoi cari un istante, avrai veduto
Grondar la stilla del dolor sul primo
Bacio materno. Io favellava ancora,
Quand’ei l’umido ciglio e le man giunte
Alzando inver lo loco onde a me venne,
Mestamente sorrise, e: Se non fosse
Ch’io t’amo tanto, io pregherei che ratto
Quell’anima gentil fuor de le membra
Prendesse il vol, per chiuder l’ali in grembo
Di Quei, ch’eterna ciò che a Lui somiglia.
Ché finch’io non la veggo, e ch’io son certo
Di mai più non lasciarla, esser felice
Pienamente non posso. A questi accenti
Chinammo il volto, e taciti ristemmo:
Ma per gli occhi d’entrambi il cor parlava.
Poi che il pianto e i singulti a le parole
Dieder la via, ripresi: A le sue piaghe
Sarà dittamo e latte il raccontarle
Che del tuo dolce aspetto io fui beato,
E ridirle i tuoi detti. Ora, per lei
Ten prego, dammi che d’un dubbio fero
Toglierla io possa. Allor che de la vita
Fosti al fin presso, o spasimo, o difetto
Di possanza vital feceti a gli occhi
Il dardo balenar che ti percosse?
O pur ti giunse impreveduto e mite?
Come da sonno, rispondea, si solve
Uom, che né brama né timor governa,
Dolcemente così dal mortal carco
Mi sentii sviluppato; e volto indietro,
Per cercar lei, che al fianco mio mi stava,
Più non la vidi. E s’anco avessi innanzi
Saputo il mio morir, per lei soltanto
Avrei pianto, e per te: se ciò non era,
Che dolermi dovea? Forse il partirmi
Da questa terra, ov’è il ben far portento,
E somma lode il non aver peccato?
Dove il pensier da la parola è sempre
Altro, e virtù per ogni labbro ad alta
Voce lodata, ma nei cor derisa;
Dov’è spento il pudor; dove sagace
Usura è fatto il beneficio, e brutta
Lussuria amor; dove sol reo si stima
Chi non compie il delitto; ove il delitto
Turpe non è, se fortunato; dove
Sempre in alto i ribaldi, e i buoni in fondo.
Dura è pel giusto solitario, il credi,
Dura, e pur troppo disegual, la guerra
Contra i perversi affratellati e molti.
Tu, cui non piacque su la via più trita
La folla urtar che dietro al piacer corre
E a l’onor vano e al lucro; e de le sale
Al gracchiar voto, e del censito volgo
Al petulante cinquettio, d’amici
Ceto preponi intemerati e pochi,
E la pacata compagnia di quelli
Che, spenti, al mondo anco son pregio e norma,
Segui tua strada; e dal viril proposto
Non ti partir, se sai. Questa, risposi,
Qualsia favilla, che mia mente alluma,
Custodii, com’io valgo, e tenni viva
Finor. Né ti dirò com’io, nodrito
In sozzo ovil di mercenario armento,
Gli aridi bronchi fastidendo e il pasto
De l’insipida stoppia, il viso torsi
Da la fetente mangiatoia; e franco
M’addussi al sorso de l’Ascrea fontana.
Come talor, discepolo di tale,
Cui mi saria vergogna esser maestro,
Mi volsi ai prischi sommi; e ne fui preso
Di tanto amor, che mi parea vederli
Veracemente, e ragionar con loro.
Né l’orecchio tuo santo io vo’ del nome
Macchiar de’ vili, che oziosi sempre,
Fuor che in mal far, contra il mio nome armaro
L’operosa calunnia. A le lor grida
Silenzio opposi, e a l’odio lor disprezzo.
Qual merti l’ira mia fra lor non veggio;
Ond’io lieve men vado a mia salita,
Non li curando. Or dimmi, e non ti gravi,
Se di te vero udii che la divina
De le Muse armonia poco curasti.
Sorrise alquanto, e rispondea: Qualunque
Di chiaro esempio, o di veraci carte
Giovasse altrui, fu da me sempre avuto
In onor sommo. E venerando il nome
Fummi di lui, che ne le reggie primo
l'orma stampò de l'italo coturno:
E l'aureo manto lacerato ai grandi,
Mostrò lor piaghe, e vendicò gli umili;
E di quel, che sul plettro immacolato
Cantò per me: Torna a fiorir la rosa.
Cui, di maestro a me poi fatto amico,
Con reverente affetto ammirai sempre
Scola e palestra di virtù. Ma sdegno
Mi fero i mille, che tu vedi un tanto
Nome usurparsi, e portar seco in Pindo
L'immondizia del trivio e l'arroganza
E i vizj lor; che di perduta fama
Vedi, e di morto ingegno, un vergognoso
Far di lodi mercato e di strapazzi.
Stolti! Non ombra di possente amico,
Né lodator comprati avea quel sommo
D'occhi cieco, e divin raggio di mente,
Che per la Grecia mendicò cantando.
Solo d'Ascra venian le fide amiche
Esulando con esso, e la mal certa
Con le destre vocali orma reggendo:
Cui poi, tolto a la terra, Argo ad Atene,
E Rodi a Smirna cittadin contende:
E patria ei non conosce altra che il cielo.
Ma voi, gran tempo ai mal lordati fogli
Sopravissuti, oscura e disonesta
Canizie attende. E tacque; e scosso il capo,
E sporto il labbro, amaramente il torse,
Com'uom cui cosa appare ond'egli ha schifo.
Gioja il suo dir mi porse, e non ignota
Bile destommi; e replicai: «Deh! vogli
La via segnarmi, onde toccar la cima
Io possa, o far che, s'io cadrò su l'erta,
Dicasi almen: su l'orma propria ei giace.»
"Sentir" riprese "e meditar: di poco
Esser contento: da la meta mai
Non torcer gli occhi: conservar la mano
Pura e la mente: de le umane cose
Tanto sperimentar, quanto ti basti
Per non curarle: non ti far mai servo:
Non far tregua coi vili: il santo Vero
Mai non tradir: né proferir mai verbo,
Che plauda al vizio, o la virtù derida."
"O maestro, o", gridai, "scorta amorosa,
Non mi lasciar; del tuo consiglio il raggio
Non mi sia spento; a governar rimani
Me, cui natura e gioventù fa cieco
L'ingegno, e serva la ragion del core."
Così parlava e lagrimava: al mio
Pianto ei compianse, e: "Non è questa," disse,
"Quella città, dove sarem compagni
Eternamente. Ora colei, cui figlio
Se' per natura, e per eletta amico,
Ama ed ascolta, e di filial dolcezza
L'intensa amaritudine le molci.
Dille ch'io so, ch'ella sol cerca il piede
Metter su l'orme mie; dille che i fiori,
Che sul mio cener spande, io gli raccolgo
E gli rendo immortali; e tal ne tesso
Serto, che sol non temerà né bruma,
Ch'io stesso in fronte riporrolle, ancora
De le sue belle lagrime irrorato."
Dolce tristezza, amor, d'affetti mille
Turba m'assalse; e da seder levato,
Ambo le braccia con voler tendea
A la cara cervice. A quella scossa,
Quasi al partir di sonno io mi rimasi;
E con l'acume del veder tentando
E con la man, solo mi vidi; e calda
Mi ritrovai la lacrima sul ciglio.



Manzoni - Autoritratto

[Ritratto di se stesso]

    Capel bruno: alta fronte: occhio loquace:
Naso non grande e non soverchio umìle:
Tonda la gota e di color vivace:
Stretto labbro e vermiglio; e bocca esìle:
    Lingua or spedita or tarda, e non mai vile,
Che il ver favella apertamente, o tace.
Giovin d’anni e di senno; non audace:
Duro di modi, ma di cor gentile.
    La gloria amo e le selve e il biondo iddio:
Spregio, non odio mai: m’attristo spesso:
Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.
    A l’ira presto, e più presto al perdono:
Poco noto ad altrui, poco a me stesso:
Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

Alessandro Manzoni (1801)