sabato 17 ottobre 2015

Gli italiani e i migranti (Aldo Cazzullo)


Gli italiani e i migranti

Ma la paura non è una colpa

La paura forse non è la più nobile delle attitudini; ma non è una colpa. Non va alimentata e usata, come fa la Lega. Ma non va neppure negata e rimossa, come fa la sinistra e anche una parte del mondo cattolico. La paura si vince rimuovendone le cause.

Oggi molti italiani hanno paura delle migrazioni non perché siano ostili alle persone dei migranti, ma perché vedono che l’emergenza è gestita male, e soprattutto non ne vedono la fine. L’impressione è che il governo e gli enti locali stentino a organizzare sia l’accoglienza, sia i rimpatri; e soprattutto non riescano a disegnare un orizzonte che dia ai cittadini quella sicurezza anche psicologica senza cui l’integrazione resta utopia. Il tentativo di coinvolgere l’Europa sta dando i primi risultati. Ma gli italiani sanno che le guerre civili nel Nordafrica e in Medio Oriente non sono affatto finite, che per stabilizzare l’area serviranno anni se non decenni; e non intravedono ancora né le regole né le azioni che consentano di salvare i profughi, sottraendoli ai trafficanti di uomini, e di selezionare all’origine i «migranti economici», distinguendo le figure professionali di cui l’Italia ha bisogno dalla massa che andrebbe fermata o rimandata indietro.

I migranti non arrivano in un Paese prospero, coeso, sereno. Si affacciano in un’Italia che vive un vero e proprio dopoguerra. La crisi ha lacerato in modo devastante il tessuto industriale e sociale, soprattutto al Nord, soprattutto in provincia.

Le reazioni emotive di fronte a migranti che non si sono ancora neppure visti, come nel paese rosso di Badia Prataglia sull’Appennino toscano, e gli scontri tra i parroci che li accolgono e i sindaci che li respingono, come a Bondeno, in riva al Po, non sono conseguenze del razzismo, ma dell’insicurezza. Che cresce proprio perché nella discussione pubblica non viene considerata, bensì liquidata con un’alzata di spalle o uno sguardo di commiserazione.

Sui media tende a prevalere una visione irenica e spensierata dell’immigrazione, tipica di un’élite per cui gli stranieri sono colf a basso costo e chef di ristoranti etnici; tanto i figli vanno alla scuola internazionale, e i nonni nella clinica privata. L’immigrazione può rivelarsi un sollievo per il sistema produttivo, ma comporta un prezzo, tutto a carico delle classi popolari, chiamate a combattere ogni giorno una guerra tra poveri per il posto all’asilo, il letto in ospedale, la lista d’attesa al pronto soccorso, e pure la casa e il lavoro.

Certo, alle società esangui e anziane d’Europa servono le energie formidabili che salgono dalle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo. Ma non è forse cinica la logica di rimpiazzare con i nuovi venuti i bambini che gli italiani non fanno più, anziché sostenere la maternità o almeno mettere in condizione le donne di scegliere liberamente? Anche sull’apporto dei migranti all’economia è nata una retorica, ridimensionata sul Financial Times da Martin Wolf, editorialista britannico orgogliosamente figlio di profughi: per coprire i buchi del welfare e della previdenza l’Europa dovrebbe accogliere in pochi anni decine di milioni di stranieri. Che non sbarcano nelle vaste praterie deserte d’America, ma in Paesi - come il nostro - montuosi e densamente antropizzati, cioè popolati da secoli non solo dall’uomo e dalle sue opere ma da memorie e culture, retti su equilibri precari da ricostruire ogni volta. Così diventano simboli anche l’altalena contesa nel giardino di Padova chiuso tra il campo profughi e l’asilo, o la rivolta di Gorizia in difesa del parco che custodisce i segni drammatici della sua storia, trasformato in bivacco.

C’è da essere orgogliosi del modo in cui molti italiani stanno reagendo. Volontari laici e cattolici fanno un grande lavoro, spesso sopperendo alle lacune della pubblica amministrazione. E gli uomini in uniforme continuano a salvare vite, dovere giuridico e morale che in nessun caso può mai venire meno. Ma lo Stato, insieme con gli altri Paesi europei, deve fare molto altro: alleggerire il peso che grava sulle nostre frontiere, organizzando il viaggio dei profughi e il respingimento dei clandestini; e far funzionare la macchina dell’integrazione, legando i diritti ai doveri, che comprendono la conoscenza e il rispetto dei nostri valori, a cominciare dall’uguaglianza tra uomo e donna. Forse don Abbondio aveva torto: il coraggio uno se lo può dare. A patto di rispettare la paura ed eliminarne le ragioni.

Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 14 ottobre 2015)

 

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