venerdì 16 novembre 2018

Maupassant - La collana


Guy de Maupassant
LA COLLANA
Era una di quelle ragazze belle e seducenti che nascono, come per un errore del destino, in una famiglia d'impiegati. Era senza dote, senza speranze, non aveva alcuna possibilità d'essere conosciuta, capita, amata e sposata da un uomo ricco e raffinato; e lasciò che la sposassero a un impiegatuccio del ministero dell’Istruzione pubblica.
Fu semplice, non potendo far lussi, ma infelice, come se fosse degradata; poiché le donne non hanno casta o razza e la bellezza, la grazia e il fascino sono per loro nascita e famiglia. L’innata finezza, l’istintiva eleganza, la prontezza di spirito sono l'unica loro gerarchia, che rende le popolane uguali alle più grandi dame.
Soffriva di continuo, sentendosi nata per tutte le delicatezze e tutti i lussi. Soffriva per la povertà della sua abitazione, per la miseria delle pareti, per il logorio delle sedie, per la bruttezza delle stoffe. Tutte queste cose, di cui un'altra donna della sua condizione non si sarebbe nemmeno accorta, la torturavano e la irritavano. Nel vedere la piccola bretone che le faceva le umili faccende di casa sua, si destavano in lei desolati rimpianti, sogni folli. Pensava ad anticamere silenziose, ovattate da parati orientali, illuminate da lunghe torciere di bronzo, ad alti valletti in polpe che sonnecchiano nelle grandi poltrone, intorpiditi dal pesante calore dei termosifoni. Pensava ai saloni rivestiti di sete antiche, ai mobili pregiati adorni di ninnoli preziosi, ai salotti civettuoli, profumati, fatti per la chiacchierata delle cinque coi più intimi amici, uomini noti e ricercati di cui tutte le donne desiderano e cercano l’attenzione.
Quando si sedeva per mangiare alla tavola tonda coperta da una tovaglia di tre giorni, davanti a suo marito che scoperchiava la zuppiera esclamando estasiato: - Ah, che bella minestra!... Non c'è nulla di meglio... - pensava ai pranzi raffinati, alle lucenti argenterie, agli arazzi che popolano le pareti di antichi personaggi e strani uccelli, in mezzo a foreste incantate; pensava alle vivande squisite servite in bellissimi piatti, alle galanterie sussurrate ed ascoltate con un sorriso di sfinge, mangiando la carne rosea d'una trota o un'anca di fagianella.
Non aveva vestiti, non aveva gioielli – nulla. Ed erano le sole cose che le piacessero, quelle per cui si sentiva nata. Avrebbe voluto tanto piacere, essere invidiata, essere seducente e desiderata.
Aveva un'amica ricca, una compagna di convento, che non andava più a trovare perché soffriva troppo, tornando; e piangeva per giornate intere, di dolore, di rimpianto, di disperazione, di sconforto.

Una sera il suo marito tornò a casa tutto trionfante, tenendo in mano una grande busta:
- Ecco -, le disse, - c’è una cosa per te.-
Lei strappò nervosamente la busta e ne trasse un foglio intestato su cui era scritto: «Il ministro dell’Istruzione pubblica e la signora Georges Ramponneau hanno l'onore d'invitare il signore e la signora Loisel alla serata che avrà luogo lunedì 18 gennaio nei saloni del ministero».
Invece d'esser felice, come si figurava suo marito, lei buttò indispettita l'invito sulla tavola, mormorando:
- Che vuoi che me ne faccia?
- Ma, tesoro, pensavo che ti avrebbe fatto piacere. Non andiamo mai in nessun posto, e questa è proprio una bella occasione. Ce n’è voluto per aver l’invito! Lo cercano tutti, e per gli impiegati ce ne son pochi. Ci sarà tutto il mondo ufficiale.
Lei lo fissava corrucciata e disse con voce impaziente:
- Che vuoi che mi metta addosso, per andarci?
Lui non ci aveva pensato; balbettò:
- C’è il vestito che indossi per andare al teatro; mi pare molto bello.-
Tacque, stupito e confuso, nel vedere che sua moglie piangeva. Due lacrimoni colavano lentamente dagli angoli degli occhi agli angoli della bocca; e borbottò:
- Che hai? che hai? –
Con un violento sforzo lei si dominò e rispose con tono calmo, asciugandosi le guance umide:
- Nulla. Soltanto che non ho vestiti e alla festa non ci posso venire. Dai quell'invito a qualche collega che abbia la moglie messa un po' meglio di me.
Lui era dispiaciuto. Disse:
- Ascolta, Mathilde: quanto verrebbe a costare un vestito decente, che ti potrebbe servire anche in altre occasioni, qualcosa di semplice?-
Lei rifletté per qualche istante, facendo i conti e pensando a quale somma avrebbe potuto chiedere, senza provocare un immediato rifiuto e lo stupore sgomento dell'economo impiegatuccio.
Alla fine rispose, esitando:
- Non saprei con esattezza, ma forse potrei farcela con quattrocento franchi.-
Lui era lievemente impallidito, perché riservava proprio quella somma per comprarsi un fucile con cui andare a caccia l’estate seguente, nella pianura di Nanterre, insieme con certi amici che andavano là a tirare alle allodole, la domenica.
Però aveva risposto:
- Va bene. Ti do quattrocento franchi. Ma cerca di trovare un bel vestito.-
S'avvicinava il giorno della festa e la signora Loisel sembrava triste, inquieta, preoccupata. Eppure il vestito era pronto. Una sera suo marito le chiese:
- Che hai? Da qualche giorno mi sembri strana.-
Lei rispose:
- Mi dispiace non avere nemmeno un gioiello, una pietra, una cosa da mettermi addosso. Chissà come sembrerò misera... Quasi quasi preferirei non andare alla festa… -
Il marito disse:
- Puoi metterti dei fiori freschi. In questa stagione è molto fine. Con dieci franchi puoi comprarti due o tre splendide rose.-
Lei non era affatto convinta:
- No, no... Non c'è nulla di più umiliante che apparire povere in mezzo alle donne ricche.-
Il marito esclamò:
- Quanto sei sciocca! Vai dalla tua amica, la signora Forestier, e fatti prestare un gioiello da lei. Siete abbastanza amiche perché tu possa farlo.-
Lei mandò un gridolino di gioia:
- È vero. Non ci avevo pensato.-
Il giorno seguente andò dall’amica e le raccontò il suo cruccio.
La signora Forestier si diresse verso l'armadio a specchio, ne trasse un cofanetto, lo aprì e disse alla signora Loisel:
- Ecco, cara: scegli. -
Vide braccialetti, una collana di perle, una croce veneziana d'oro e pietre, di mirabile fattura. Si provava i gioielli davanti allo specchio, esitava, non sapeva decidersi a toglierseli, a riporli. Chiedeva:
- Non ne hai altri? –
- Ma sì.  Cerca, non so che cosa preferisci... –
A un tratto scoprì, in una scatola di raso nero, una collana di diamanti, bellissima; e il cuore le palpitò d’uno smodato desiderio. Nel prenderla le tremavano le mani. Se l'agganciò sopra il vestito accollato e restò a guardarsi, estatica.
Perplessa e ansiosa, domandò:
- Potresti prestarmi questa; questa soltanto? –
- Certo, prendila … -
Saltò al collo dell'amica, la baciò con foga, e fuggì col tesoro.

Venne la sera della festa. La signora Loisel trionfò. Era la più bella di tutte, elegante, graziosa, sorridente, fuor di sé dalla gioia. Tutti gli uomini la guardavano, chiedevano chi fosse, cercavano d'esserle presentati. Tutti i segretari di gabinetto vollero ballare il valzer con lei. Il ministro la notò.
Lei danzava, inebriata, con ardore, stordita dal piacere, senza pensare ad altro, nel trionfo della sua bellezza, nella gloria del successo, in una specie d'aureola di felicità formata da tutti quegli omaggi, dall'ammirazione, dai desideri suscitati, da quella vittoria così completa e così cara al cuore femminile.
Andò via verso le quattro di mattina. Da mezzanotte suo marito stava dormendo in un salottino, insieme con altri tre signori le cui mogli si divertivano moltissimo.
Lui le buttò sulle spalle il soprabito che aveva portato, un modesto soprabito che per la sua povertà contrastava con l'eleganza dell’abito da ballo. Lei se ne accorse e volle scappar via per non esser notata dalle altre donne che si avvolgevano in ricche pellicce.
Loisel la trattenne:
- Aspetta un momento. Prenderai un malanno. Vado a chiamare una carrozza.-
Ma lei, senza ascoltarlo, scese rapidamente le scale. Per strada non c'erano carrozze; e cominciarono a cercare, gridando ai cocchieri che vedevano passare a distanza.
Scesero verso la Senna, senza più speranze, tremando di freddo. E finalmente, sul lungofiume, trovarono uno di quei vecchi coupé nottambuli che a Parigi escono soltanto di notte, come vergognosi di mostrare alla luce la loro miseria.
Furono lasciati al portone di casa, in rue des Martyrs, e risalirono tristemente le scale. Per lei, era finito tutto; e lui pensava che, alle dieci, doveva trovarsi al ministero.
Davanti allo specchio lei si tolse il soprabito che le aveva coperto le spalle, per ammirarsi un’ultima volta nel suo splendore. Gettò un grido improvviso: la collana non c’era più!
Suo marito, già mezzo spogliato, le chiese:
- Che c'è?-
Lei si voltò, sgomenta:
- La collana... la collana della signora Forestier... non c’è più-
Lui si rizzò, sbigottito:
- Cosa? che dici? Ma non è possibile!-
Cercarono tra le pieghe del vestito e del soprabito, nelle tasche, dappertutto. Non c'era.
Lui chiese:
- Sei sicura che l'avevi ancora quando siamo usciti?
- Sì, me la sono toccata nell'atrio del ministero.
- Ma se l'avessi persa per la strada, si sarebbe sentita cadere. Dev'essere nella carrozza.
- Sì, può darsi... Hai preso il numero?
- No, e tu?
- Nemmeno io.
Si guardarono costernati. Loisel si rivestì.
- Vado a rifare la strada che abbiamo percorso a piedi, - disse, - per vedere se la trovo.-
E uscì. Lei rimase con l’abito da ballo addosso, senza aver forza di andare a letto, afflosciata su una sedia, col fuoco spento, vuota di pensieri.
Il marito tornò alle sette, a mani vuote.
- Scrivi alla tua amica, - disse, - che s'è rotto il fermaglio della collana, e che l'hai data ad aggiustare. Avremo tempo di pensar qualcosa.
Mathilde scrisse quel che lui dettò.

Dopo una settimana avevano perso ogni speranza.
Loisel, che era invecchiato di cinque anni, disse:
- Bisognerà comprarne un'altra...
Il giorno seguente presero l'astuccio e andarono dal gioielliere il cui nome era scritto dentro. Costui consultò il registro.
- No, signora, questa collana non l'abbiamo venduta noi. Soltanto l'astuccio è nostro.-
Andarono da un gioielliere all'altro, cercando una collana uguale alla prima, cercando di ricordarsi, sfiniti dal dolore e dall'angoscia.
In un negozio del Palais Royal trovarono un rosario di diamanti che pareva identico a quello che cercavano. Valeva quarantamila franchi; l’avrebbero dato per trentaseimila.
Pregarono il gioielliere di non venderlo prima di tre giorni. E posero come condizione che l'avrebbe ripreso indietro per trentaquattromila franchi, se avessero ritrovato l’altro entro febbraio.
Loisel possedeva diciottomila franchi che gli aveva lasciato suo padre. Il resto lo avrebbe preso in prestito.
Chiese mille franchi a questo, cinquecento a quello, cinque luigi qui, tre luigi là. Firmò cambiali, prese impegni disastrosi, si trovò a che fare con usurai e con ogni specie di strozzini. Compromise tutto il resto della sua vita, rischiò la sua firma senza neppure sapere se avrebbe potuto farle onore e, angosciato dal pensiero del futuro, della miseria nera che gli sarebbe piombata addosso, dalla prospettiva delle privazioni fisiche e delle torture morali, andò a comprare la collana nuova, posando sul banco del gioielliere i trentaseimila franchi.
Quando la signora Loisel consegnò la collana alla signora Forestier, costei le disse con tono seccato:
- Avresti potuto riportarmela prima; poteva servirmi...-
Non aprì l'astuccio, come Mathilde temeva. Se si fosse accorta dello scambio, che cosa avrebbe pensato? che avrebbe detto? Poteva anche trattarla da ladra.

La signora Loisel conobbe l'orrenda vita dei bisognosi. D’altronde decise subito, eroicamente: bisognava pagare quel tremendo debito; e lo avrebbe pagato. Licenziarono la servetta, cambiarono casa, andando a stare in una soffitta.
Lei conobbe le dure faccende di casa, le odiose fatiche della cucina. Rigovernò le stoviglie, logorandosi le unghie rosa sui tegami unti, sul fondo delle casseruole. Insaponò la biancheria sudicia, le camicie e gli stracci, facendoli asciugare su una corda; ogni mattina portò giù la spazzatura e portò su l'acqua, fermandosi a ogni piano per ripigliar fiato. Vestita come una donna del popolo, andava dall'erbaiolo, dal droghiere, dal macellaio, col paniere sottobraccio, tirando sui prezzi, facendosi ingiuriare pur di difendere a soldo a soldo il suo miserabile denaro.
Ogni mese dovevano pagare cambiali, rinnovarne altre, guadagnar tempo.
Il marito lavorava di sera a tenere la contabilità d'un commerciante; e spesso, di notte, faceva il copista, a cinque soldi la pagina.
Questa vita durò dieci anni.
Dopo dieci anni avevano restituito tutto, compresi gl'interessi degli strozzini e il cumulo degli interessi composti.
La signora Loisel sembrava una vecchia. Era diventata la donna forte, e dura, e rude, delle famiglie povere. Spettinata, con la gonnella di traverso e le mani rosse, parlava a voce alta, lavava l’assito buttandoci l'acqua a secchiate. Eppure talvolta, quando il marito era in ufficio, si sedeva accanto alla finestra e pensava a quella serata, a quel ballo, in cui era stata così bella e così festeggiata.
Che sarebbe accaduto se non avesse perso la collana? Chissà? chissà? Com'è strana la vita, come cambia! Basta tanto poco per perdersi o salvarsi!

Una domenica era andata a fare un giro agli Champs-Elysées per distrarsi dalle fatiche della settimana; e d’un tratto vide una signora a passeggio con un bambino: era la signora Forestier, sempre giovane, sempre bella, sempre attraente.
La signora Loisel si sentì turbata. Le avrebbe rivolto la parola? Sì, certamente. Anzi, ora che aveva pagato, poteva dirle tutto; perché no?
Le si avvicinò.
- Buonasera, Jeanne.-
L'altra non la riconosceva, stupita di sentirsi chiamare con tanta confidenza da quella popolana. Balbettò:
- Ma signora... Non... Credo che vi sbagliate...-
- No. Sono Mathilde Loisel.-
L'amica gettò un grido:
- Oh! povera Mathilde, come sei cambiata!-
- Sì... ho passato momenti duri, da quando non ci siamo più viste, e tanta miseria... per causa tua.-
- Mia? Ma come?-
- Ti ricordi quella collana di diamanti che mi hai prestato per andare a una festa del ministero?
- Certo; e allora?-
- Allora, l’avevo perduta.-
- Ma com'è possibile? se me l'hai restituita…-
- Te ne ho restituita un'altra uguale. Sono dieci anni che la stiamo pagando. Capisci che per noi non è stata una cosa facile; non avevamo nulla… Ora però è finito, e sono proprio contenta.
La signora Forestier s'era fermata.
- Mi dici che hai comprato una collana di diamanti per sostituire la mia?-
- Sì: non te n'eri accorta, vero? Era proprio identica.-
La signora Forestier, agitatissima, le afferrò le mani:
- Oh! mia povera Mathilde! Ma la mia era falsa. Poteva valere al massimo cinquecento franchi...-


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