martedì 26 marzo 2019

Boccaccio: Cisti fornaio


QUANDO I FORNI ANDAVANO A VINO

Giovanni Boccaccio, Il Decamerone
(versione in italiano moderno di Aldo Busi)

Storia n. 2   Sesta Giornata


Pampinèa:

Ragazze, a proposito di questo Geri Spina - sì, il marito della signora Oretta: dovete sapere che lui e papa Bonifacio VIII facevano così culo e camicia, che quando il papa mandò a Firenze alcuni suoi emissari per sistemare certe questioncelle politiche scottanti, fu proprio Geri Spina a ospitarli in casa sua per vedere insieme di cavare dal fuoco le castagne pontificie. Per un motivo o per l'altro, il nobile Geri passava quasi tutte le mattine con i suddetti ambasciatori papali davanti a Santa Maria Ughi, dove c'era la panetteria gestita personalmente da Cisti il fornaio. Per quanto il mestiere che il destino gli aveva rifilato non fosse esattamente di quelli che ti danno un'infarinatura di distinzione sociale, al Cisti gli affari erano sempre andati a piene ceste, tanto che aveva fatto soldi a palate e viveva come un signore di ottima pasta, senza farsi mancare (tra tutte le altre cose buone che possedeva) i più eccellenti vini bianchi e rossi di Firenze e dintorni; ma mai, per niente al mondo, aveva avuto voglia di cambiare mestiere. Cisti, notando che il signor Geri e gli ambasciatori del papa gli passavano davanti alla bottega ogni mattina, pensò che, con il caldo che faceva, sarebbe stato un gran bel colpo di gentilezza offrirgli un certo suo squisito vino bianco; ma sapeva perfettamente chi era lui e chi era il signor Spina e gli sembrava che, a prendere l'iniziativa di essere lui a invitarlo, avrebbe fatto la figura di chi non sa stare al suo posto: bisognava dunque che fosse il nobiluomo a cedere alla tentazione di autoinvitarsi.
Così, ogni mattina, verso l'ora in cui era previsto il passaggio del signor Geri con gli ambasciatori, Cisti - in canottiera bianchissima e grembiulone di bucato che gli davano un aspetto più da mugnaio che da fornaio - si faceva portare fuori dalla porta un secchio di rame stagnato nuovo fiammante pieno d'acqua fresca, una caraffina di terracotta senza la minima screziatura col suo vinello bianco e due calici che parevano d'argento tanto brillavano; come avvistava il gruppetto in lontananza, si metteva a sedere, dava una o due scatarrate per purgarsi la gola e incominciava a centellinare il suo vino con una tale esibizione di estasi che avrebbe fatto venire l'acquolina in bocca ai morti.
E una mattina, e due mattine, alla terza il signor Geri domandò:
«Allora, Cisti, com'è? Buono?»
Cisti balzò subito in piedi e gli rispose:
«Eccome, signore! Ah, non si può descriverlo a parole, bisognerebbe proprio assaggiarlo e basta.»
Spina, che si sentiva la gola un po' asciutta per il caldo e per un senso di spossatezza più greve del solito e per quel modo di bere di Cisti, si rivolse sorridendo agli ambasciatori e disse:
«Signori miei, credo che ci convenga assaggiare il vino di questo bravo cittadino: sospetto proprio che non ce ne pentiremo» e insieme a loro si diresse verso Cisti.
Il fornaio fece subito portare fuori dalla bottega una bella panca e li invitò a accomodarsi e disse ai loro servitori  che già si facevano avanti per sciacquare i bicchieri:
«Alla larga, ragazzi, che ci penso io: sono bravo a versare il vino almeno quanto a impastare il pane, e toglietevi dalla testa di farvi la bocca alle mie spalle!»
Sciacquò lui stesso quattro bei calici da grandi occasioni, si fece portare una caraffina del suo buon vino e, come un sommelier diplomato, versò da bere al signor Geri e ai suoi amici che, non avendo bevuto da parecchio tempo un vino di tale qualità, non la smettevano più di decantarne il bouquet. Così, finché gli ambasciatori rimasero in città, Geri Spina andò lì con loro a farsi la sua degustazione quasi ogni mattina.
Quando le trattative si conclusero e giunse il momento della loro partenza, il signor Geri organizzò un banchetto di commiato in grande stile al quale fu invitata tutta la scrematura della crème cittadina; anche Cisti ricevette l'invito, ma siccome non ci fu verso di convincerlo a partecipare, Geri ordinò a uno dei suoi servitori di andare da lui a farsi dare un fiasco di vino per offrirne mezzo bicchiere agli ospiti assieme agli antipasti. Il servitore, che forse non aveva mandato giù il fatto di non essere mai riuscito a assaggiare quel vino, ci andò con una damigiana.
Cisti lo squadrò e disse:
«Hai sbagliato indirizzo. Il signor Spina non è da me che ti manda.»
Il servitore giurò e spergiurò che invece sì, ma non riuscì a ottenere nessun'altra risposta, per cui tornò dal suo padrone e gli riferì quella. Geri Spina allora gli disse:
«Vacci di nuovo e digli che ti mando proprio io proprio da lui; e se risponde ancora nella stessa maniera, domandagli da chi è che ti manderei secondo lui.»
Il servitore tornò alla carica e disse:
«Cisti, il signor Geri mi manda proprio da te.»
«Ragazzo mio, direi proprio di no» rispose Cisti.
«E allora» disse il servitore «dov'è che mi avrebbe mandato?»
«All' Arno» disse Cisti.
Quando il servitore gli riportò queste parole, il signor Spina cominciò a intuire la soluzione dell'indovinello:
«Fa' un po' vedere con che fiasco ci sei andato» disse, e appena vide la damigiana esclamò:
«Cisti ha ragione!» e dopo avergli dato una bella lavata di testa lo rispedì indietro con un fiaschetto di dimensioni ragionevoli, alla cui vista Cisti disse:
«Adesso sì che ti manda da me» e glielo riempì fischiettando.
Quello stesso giorno fece riempire un barilotto con, vino dell'identico cru e, dopo aver ordinato che lo portassero senza troppi scossoni al signor Geri, andò a trovarlo e gli disse:
«Signore, non vorrei che pensasse che la damigiana di stamattina mi abbia spaventato: ma mi pareva che si fosse dimenticato di quello che ho cercato di dirle con le mie caraffine, e cioè che questo non è vino da darsi via ai servi, perciò ho semplicemente voluto ricordarglielo. E dato che adesso non vorrei più stare a fargli la guardia per lei, gliel'ho fatto venire tutto: ne faccia pure quello che le pare e piace.»
Il signor Geri si tenne caro il dono di Cisti e lo ringraziò in misura adeguata, dandogli da allora in poi tutta la considerazione e trattandolo da amicone.


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