Imparare da un
bambino
Corriere
della Sera (martedì 5 febbraio 2019)
Massimo Gramellini
Non può
esistere ferita più profonda di quella procurata da una madre che dice al
figlio di otto anni: vattene, non ti voglio più. A otto anni sei già in grado
di capire, di sentirti in colpa per colpe che non hai. Forse riesci persino a
intuire che qualunque altra sassata ti colpirà in futuro – un’amicizia tradita,
un amore non ricambiato - non sarà paragonabile a quella. Nella speciale
classifica dei traumi da divano dello psicanalista, nulla può competere con il
sentirti rifiutato da chi ti ha messo al mondo. Assaggiato e sputato, dal
momento che lei, essendosi rifatta una vita, ti considera un cascame
imbarazzante e cestinabile del suo passato.
Credo sia
stata questa irrimediabilità del danno ad averci tanto commossi nella storia
estrema del piccolo rom trovato dai vigili di Carmagnola mentre vagava ai bordi
di una strada provinciale con l’esile armatura di un maglioncino di lana. E non
è finita lì. Appena i vigili lo hanno fermato, il bambino non si è trincerato
dietro il silenzio o una bugia, come sicuramente avrei fatto io, non solo alla
sua età. Ha inghiottito l’imbarazzo e la vergogna, e ha detto loro: mia madre
non mi vuole più. La verità, come i vigili hanno appurato interpellando l’inqualificabile
fattrice. La verità detta agli altri e a se stesso, senza rimozioni, in una
suprema capacità di accogliere l’inconcepibile. Che lezioni di vita riescono a
darci certe volte, i bambini.
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