Quarta Giornata – Storia 5
(trascrizione di
Aldo Busi)
Lisabetta e il vaso di
basilico
Filomena:
Tre
giovani fratelli di Messina, commercianti di mestiere, si erano ritrovati con
un bel patrimonio alla morte del padre, che veniva da San Gimignano, e avevano
una sorella, Lisabetta, ragazza molto bella e con la testa a posto, alla quale,
chissà perché, i tre fratelli non avevano ancora trovato marito.
I
tre fratelli avevano in una loro bottega un giovanissimo commesso pisano di
nome Lorenzo, di bell’aspetto e modi accattivanti, che si occupava di un po’ di
tutto, dall’acquisto alla vendita. A forza di averlo sotto gli occhi, Lisabetta
stranamente se ne invaghì. Quando Lorenzo se ne accorse, cominciò una dopo
l’altra a lasciare le morose che aveva in giro e a concentrarsi sul pensiero di
lei; siccome l’attrazione reciproca era ormai indomabile, non ci misero molto a
prender confidenza e passare all’azione.
I
loro interludi di sesso appassionato divennero ben presto una consuetudine
divorante e sempre meno circospetta e, forse per una certa dose di incoscienza
sopravvenuta, una notte accadde che il fratello maggiore di Lisabetta la vide,
a sua insaputa, mentre si dirigeva in punta di piedi verso la camera di
Lorenzo. Quella rivelazione fu per lui un boccone troppo amaro da ingoiare ma,
chiamato a raccolta tutto il suo buon senso, pensò che la cosa più ragionevole
fosse starsene zitto e non far niente subito. Trascorse così tutta la notte a
rimuginare su questo fatto increscioso increscioso e la mattina dopo raccontò
ai fratelli quello che aveva scoperto fra Lisabetta e Lorenzo. Dopo una lunga
discussione, decisero di passare la cosa sotto silenzio e con lei di far finta
di niente, finché non si fosse presentata l’occasione giusta per troncare di
netto la storia senza coinvolgere in uno scandalo né loro stessi né la sorella.
Continuarono
così a ridere e a scherzare con Lorenzo come facevano di solito, finché un
giorno, con la scusa di volere andare a spassarsela un po’ fuori città,
invitarono il ragazzo a seguirli. Durante l’allegra trasferta, capitarono in un
posto isolato lontano da ogni passaggio e uccisero Lorenzo, completamente
inerme e lontano mille miglia dal benché minimo sospetto, e lì lo seppellirono,
senza che nessuno si accorgesse di nulla. Quando ritornarono a Messina,
sparsero la voce che lo avevano mandato a sbrigare alcune commissioni. Dapprima
la sua assenza non destò alcun sospetto, dato che capitava spesso che i tre
fratelli lo mandassero di qui e di là come loro uomo di fiducia, ma Lorenzo non
tornava più e Lisabetta, che sentiva crescere una strana nostalgia, cominciò a
preoccuparsi e a fare un sacco di domande ai fratelli, finché uno di loro,
esasperato dall’insistenza della sorella, le disse:
«Ma
si può sapere perché continui a chiedere di Lorenzo? Ti importa così tanto di
lui? Se non la finisci con questo interrogatorio, ti rispondiamo noi per le
rime.»
Nacque
un brutto presentimento nella ragazza, che smise di fare domande e cominciò a
vivere in silenzio il suo dolore e la sua tristezza, anche se spesso di notte
chiamava Lorenzo a alta voce, fra i singhiozzi, lo pregava di ritornare da lei
e, lungi dal rassegnarsi, non abbandonava la speranza di vederselo comparire
davanti.
Una
notte che Lisabetta a furia di piangere era scivolata nel sonno quasi senza
accorgersene, vide in sogno Lorenzo che, pallido e stravolto e con i vestiti
strappati e fradici, le diceva:
«Oh,
Lisabetta, tu non fai altro che chiamarmi e soffrire per la mia lunga assenza,
ma io non merito le tue parole di biasimo. Io non posso più ritornare da te,
perché i tuoi fratelli mi hanno ucciso quello stesso giorno che mi hai visto
per l’ultima volta.»
Poi
le disegnò la mappa di dove l’avevano sotterrato e le chiese di non chiamarlo e
di non aspettarlo più e scomparve.
Lisabetta
si svegliò di soprassalto e, prestando ciecamente fede alla visione, si mise a
piangere disperata.
Il
giorno dopo le mancò il coraggio di affrontare i suoi fratelli, ma decise di
andare comunque nel luogo indicato da Lorenzo per verificare se le silenti
parole del sogno corrispondevano alla realtà; chiese il permesso di fare una
passeggiata nei dintorni di Messina con una sua vecchia tata che era al
corrente di tutto. Le due donne si precipitarono sul posto, Lisabetta tolse via
le foglie morte e, dove il terreno le sembrava meno duro, cominciò a scavare.
Non
dovette però rimuovere molta terra per scoprire il cadavere ancora
perfettamente conservato del suo infelice amante e capire che quel sogno era
stata una vera e propria rivelazione. Nonostante il cuore straziato dalla pena,
si rese conto che non era quello il momento di piangere, ah, se avesse potuto
si sarebbe portata via il corpo intero per seppellirlo come meritava, ma era
impossibile; con un coltello gli tagliò via la testa come meglio poté, la
avvolse in un asciugamano, la mise in grembo alla vecchia domestica, ricoprì
con la terra il resto del corpo e, senza essere vista da nessuno, ritornò a
casa.
Una
volta rinchiusasi in camera sua, cominciò a piangere sconsolatamente, lasciando
che le lacrime scorressero sopra a lavare la testa, riempiendola di baci in
ogni parte. Poi prese una bella terracotta, uno di quei vasi in cui crescono la
maggiorana o il basilico, vi collocò la testa avvolta in un drappo di seta, la
ricopri di terra e vi piantò parecchi germogli di bellissimo basilico
salernitano. Da quel giorno cominciò a innaffiarlo solo con acqua di rose o di
fiori d’arancio oppure con le sue lacrime, e prese l’abitudine di sedersi
sempre vicino a questo vaso, custode segreto del suo Lorenzo, per guardarlo con
occhi persi nei chiaroscuri del rimpianto, finché non si sporgeva di nuovo
sopra le piantine di basilico per bagnarle con un nuovo pianto.
Vuoi
per l’assiduità delle cure di Lisabetta, vuoi perché la testa putrefatta aveva
concimato la terra in modo straordinario, quel basilico diventò magnifico e
profumatissimo. I vicini di casa, intanto, avevano notato le strane abitudini
della ragazza e un giorno dissero ai fratelli che non riuscivano a spiegarsi
dove fosse andata a finire tutta la sua bellezza, gli occhi sembravano
scomparsi da tanto si erano infossati:
«Guardate,
noi ci siamo accorti che Lisabetta ogni giorno fa così e cosà.»
I
fratelli si misero allora a sorvegliarla, e siccome tutte le prediche si
rivelavano inutili, decisero di sottrarle la terracotta. Quando Lisabetta
scoprì che il suo basilico era scomparso, cominciò a cercarlo, ma poiché era
introvabile chiese con insistenza ai suoi fratelli di restituirglielo. Fu come
chiedere a un muro, e a furia di piangere e disperarsi, si ammalò, ma nemmeno
durante l’infermità smetteva di chiedere la restituzione del suo vaso.
I
fratelli non capivano perché questo vaso fosse così importante per la ragazza e
vollero vedere che cosa c’era dentro: quando rovesciarono fuori la terra,
videro il pezzo di seta e la testa che vi era avvolta e, poiché non era ancora
del tutto decomposta, non fecero fatica a riconoscere i riccioli di Lorenzo. I
tre ci rimasero a dir poco di sasso e per paura che la faccenda diventasse di
pubblico dominio, sotterrarono la testa e, senza dare alcuna giustificazione,
troncarono ogni affare e si trasferirono a Napoli.
Lisabetta,
invece, senza smettere di piangere e di chiedere del suo vaso, morì con le
lacrime negli occhi. Ma dopo, quando la cosa si riseppe, qualcuno compose
quella canzone che si canta ancora oggi e che dice:
Ah, chi fu mai
il malefico cristiano
che mi rubò quel
vaso
del basilico
amato siciliano...
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