venerdì 19 febbraio 2016

I dieci comandamenti del buon cittadino italiano


I DIECI COMANDAMENTI DEL BUON CITTADINO ITALIANO

 

1° Disprezza o compiangi coloro che irridono alla idea e al sentimento di patria. La patria – te lo dice la stessa parola – è la più grande famiglia: essa è quindi anche in te e nei tuoi cari. È nel tuo sangue, nell’aria che respiri, nel suolo che coltivi che calpesti, negli alimenti di che ti nutri. È nelle tue amicizie, nei tuoi affetti, nelle tue consuetudini, nei rapporti con i tuoi simili, nella lingua che parli. È dunque nella intimità stessa della tua esistenza.

2° Non ricusare alla patria ciò che non ricuserai a te stesso e alla tua famiglia. E come sei chiamato, secondo le età e le attitudini, a dare la tua opera, il tuo braccio e il tuo sangue alla patria devi dare a maggior ragione il tuo denaro che conta assai meno del tuo sangue e di quello dei tuoi cari.

3° Ciò che dai in danaro alla patria lo dai a tuoi fratelli e a i tuoi figli che si battono al fronte. Esso serve ad alimentarli a proteggerli dalle inclemenze e dalle asperità della stagione e dei luoghi; serve ad armarli a munizionarli e quindi a risparmiare il maggior numero di vite e a dar loro la vittoria. E quel che fai per tutti i combattenti fai pure a beneficio dei singoli a te cari.

4° Contribuendo col tuo denaro alla vittoria delle armi patrie, tu contribuisci ad assicurare l’avvenire morale e materiale dei tuoi figli, non meno di quel che fai lavorando tutta la vita per assicurar loro una esistenza migliore. Una patria prospera e grande è la più alta garanzia di sicurezza per le e per i tuoi, nella libertà pubblica e privata, negli averi, negli affetti, nelle tue donne e nei bambini. Perché non vi può essere prosperità e sicurezza individuale senza pubblica prosperità e sicurezza.

5° Sottoscrivendo al prestito nazionale nulla sottrai al tuo benessere ed a quello della tua famiglia. Anzi lo garantisci. Ed ogni sforzo, ogni sacrificio che fai per contribuire alle energie finanziarie del tuo paese – senza delle quali non sarebbe possibile nè combattere né vincere la guerra – sarà uno sforzo e un sacrifizio infinitamente minori di quelli che saresti obbligato ad accettare se con la tua inerzia e la tua avarizia contribuissi a far trionfare il nemico. Perché questo ti imporrebbe a pagare, oltre quelle del suo Stato, anche le sue spese, dopo averti schiacciato, depredato, disonorato ed affamato. Ricordati del Belgio.

6°I biglietti di Banca o di Stato che tu, avendo poca fede, ti affanni a conservare non hanno maggior valore delle cartelle del prestito nazionale. Anzitutto, se mai per assurda ipotesi un pericolo vi fosse, non la cartella del prestito correrebbe il peggior rischio. Ma mentre quei biglietti conservati nulla ti fruttano le cartelle del prestito ti assicurano un reddito notevole e sicuro, ti conservano il risparmio e te lo garantiscono e non ti espongono agli innumerevoli pericoli a cui ti espone la carta moneta comune.

7° Ti sbagli se credi che soltanto il ricco può e deve concorrere al prestito nazionale. Il ricco ha doveri proporzionatamente maggiori ma ciò non ti dispensa dal praticare i tuoi in quanti ti è possibile. Troverai mille agevolazioni presso gli Istituti di credito per acquistare la cartella del prestito e potrai pagarla anche in un anno, a piccole rate e contro lo esborso iniziale di solo lire 7,50 per ogni cartella da L. 100. Vedi adunque che solo gl’indigenti e gl’infelicissimi non possono concorrere al prestito nazionale.

8° Non dubitare. La tua sarà opera e patriottica nello stesso tempo che utile e feconda per te stesso e per la tua famiglia, perché concorri anche a rafforzare il credito del tuo paese e quindi a temperare i cambi e a rendere meno costosi i generi alimentari di prima necessità che dobbiamo importare dall’Estero, come grano, il carbone ecc. Ma, oltre a ciò, in qual modo potresti trovare più vantaggioso e sicuro il collocamento dei tuoi capitali e dei tuoi risparmi? In qual modo più felice e più degno potresti praticare quella previdenza che è la pietra angolare dell’economia domestica e delle benedizioni figliali?

9° Non temere che, dando i tuoi risparmi e le tue disponibilità al prestito nazionale, ti venga a mancare il necessario per le tue emergenze. Tu potresti in caso di bisogno, sempre ritirare, presentandoti presso gli Istituti di credito, l’equivalente della cartella, con una modestissima ritenuta di garanzia sul prezzo nominale del titolo […].

10° Non imboscare il tuo denaro per diffidenza o per dissensi teorici sulla guerra. Il peggior modo di intendere i tuoi doveri civici e l’andamento insieme dei tuoi affari. Ed è un delitto sottrarre ai pubblici bisogni delle energie economiche, come un delitto contro la patria e contro i propri simili «imboscarsi» per scansare i rischi e i sacrifici dei combattenti. La guerra, checcé abbia potuto pensarne prima che si iniziasse era indeprecabile. Se avessi avuto dei dubbi il corso degli avvenimenti e il teatro stesso in cui i nostri debbono lottare per mare e per terra, dovrebbero convincerti della imprenscindibilità di essa. Ma se tu sei italiano non puoi volere che l’Italia soccomba. E perché non soccomba, anche per le ripercussioni che risentirai su te stesso, non puoi ricusare il tuo contributo. Se lo ricusi, lo nascondi o lo sottrai anche senza volerlo, cospiri ai danni della patria e della tua famiglia[1].   



[1] In «Arena» 13-14 febbraio 1916.

Pilato tedesco


Gesù Cristo fu crocifisso dai tedeschi[1]

 

Se avete sempre creduto che i carnefici di Gesù di Nazareth fossero giudei, dovete ricredervi, perché egli fu martirizzato e crocifisso dai tedeschi.

La mia affermazione ­ lo comprendo ­ è in stridente contrasto con quanto si legge nei quattro vangeli, nei Manuali di Storia sacra e anche nei testi comuni di Storia civile. Ma questo non conta nulla: la storia dell’umanità non è mai compiuta, perché non tutti gli episodi e non tutti i fatti sono matematicamente accertati e provati; le indagini, l’esame dei documenti, i cimeli, monumenti, si susseguono, si accavallano per l’affannosa ricerca della verità, che è il tormento dell’uomo; la storia è un libro sempre in bozze di stampa, in continua, incessante revisione.

E permettete dunque che io riveda le bozze del racconto di quella grande tragedia umana, che aprì alle genti affaticate ed oppresse una novella era.

Una documentazione inoppugnabile che i crocifissori di Cristo fossero tedeschi ci viene dai tedeschi stessi. Sin da parecchi anni fa, in occasione della Pasqua, apparve nella «Gazzetta di Voss» un articolo senza firma (editoriale) che affermava come la centuria di pretoriani al servizio di polizia del Sinedio di Gerusalemme fosse tutta composta di soldati bavaresi e che, la guardia personale del Proconsole Ponzio Pilato fosse ugualmente bavarese. E ciò si spiega perfettamente, dal momento che i più recenti studi storici hanno accertato che Pilato era appunto tedesco e precisamente di Forchheim, la quale è una cittadina dell’alta Franconia (Baviera) nella riva sinistra del fiume Regnitz alla confluenza con il Wiesent. Da taluno si voleva che Pilato fosse nato in Italia e che poi, per ragioni d’ufficio, avesse per molto tempo dimorato in Baviera. Ma si è finito per stabilire tutto l’opposto cioè che egli nacque in Baviera e fu educato in Italia ­ forse a Roma ­ dove stette a lungo tanto da perdere l’accento teutonico e riuscire a parlare con puro accento latino come se fosse nato nel Lazio o nel Sannio o in Sabina o nel Piceno, regioni dove la meravigliosa lingua romana era parlata in modo più perfetto che in altre parti d’Italia.

A confortare poi l’affermazione che Pilato fosse nato a Forchheim venne, due anni fa, l’autorità dell’Hubener (un altro tedesco) che ne parlò in una sua Storia della Palestina scritta in esametri latini […]. E ­ bisogna confessarlo […] ­ i tedeschi, in materia di indagine e ricerche storiche, specialmente nel mondo della latinità, ci hanno sovente dato dei punti.

Nel caso specifico, però, non possiamo dolerci che il vanto di aver dato i natali a colui che con un tratto di politica obliqua, contrastante con le più elementari norme della diplomazia e della giurisprudenza, determinò la scomparsa dal mondo di un Uomo giusto, del più grande apostolo della giustizia e della pace, non possiamo dolerci ­ dico ­ che questo vanto rimarrà ad essi.

Se lo tengano pure il Proconsole Pilato, egli può infatti considerarsi un buon precursore  della politica teutonica empia [non leggibile].

Accertate così le origini tedesche di Ponzio Pilato, è facile dimostrare come i martirizzatori del Nazzareno fossero pur essi ­ almeno gran parte ­ tedeschi.

Il tedesco Ponzio Pilato dunque rappresentava Roma a Gerusalemme circondato da agenti tedeschi. Egli con ciò non faceva altro che seguire le direttive del suo governo, era in perfetta regola. La sua educazione era romana ma la sua anima era sempre, nostalgicamente, tedesca. E poiché ai diversi episodi del martirio di Gesù parteciparono, oltre la plebaglia sguinzagliata dagli scribi e dai farisei, i pretoriani del Sinedrio e qualche guardia personale del Proconsole, se ne deve dedurre che i crocifissori furono proprio i tedeschi, i quali sul popolaccio avevano il vantaggio delle armi e delle cavalcature […].     



[1] In «Arena» 9 aprile 1918.

Fratellanza d’armi latina


Il barbaro ha forzato una volta ancora la porta delle Alpi: sempre eguale attraverso i secoli, ma fatto più atroce da una somma di sapere, che per noi fu stimolo verso la giustizia e la libertà, e per lui non fu che una nuova arma di conquista e d’oppressione. La civiltà latina, così tenacemente e faticosamente difesa in tre lunghi anni di lotta su tutti i campi d’Europa, riceve il nuovo urto rabbioso qui sulle nostre praterie, sulle nostre campagne che hanno or ora accolto il seme, tra le belle città venete vigilate dal Leone, che simboleggiò attraverso cento altri vani conati della barbarie la volontà e la dirittura dello spirito romano.

È forse l’estremo urlo. L’Italia ha vacillato sulle prime. L’impresa era stata preparata con tutte le arti più perfide e subdole chiamate in aiuto delle macchine più micidiali: questo fu sempre lo stile del nemico, che con la forza non ha la semplicità e la rude sincerità che la rendono generosa. Alla vigilia dell’inverno, la guerra, sparpagliata su tanti fronti, sembrava quasi oziare nell’attesa della primavera liberatrice. Gli alleati si raccoglievano tutti, fiduciosamente, ma ciascuno per sé, nella loro grande preparazione. E l’impresa nemica, predisposta nell’ombra, colse noi e colse tutto il mondo quasi inaspettata…

Bastarono poche ore sciagurate per abbattere l’opera di tanti sforzi e di tanti eroismi. Ma dalle grandi angosce nascono le grandi risoluzioni.

Mentre le orde trascinavano pesantemente giù per le nostre valli la bella pianura agognata, le loro artiglierie, davanti alla minaccia improvvisa e tremenda tutti gli animi si unirono. L’Italia dimenticò ogni sua discordia: ogni cittadino comprese in un lampo l’unica necessità imperiosa, e tutti sorsero, gettando le malvage riserve o le comode protervie, finalmente uniti, finalmente italiani, contro l’invasore. Sentimmo davvero la guerra in tutta la sua grandiosità terribile, come non l’avevamo sentita mai. Sentimmo, dapprima, la necessità della salute e questa coscienza fiammeggiò tosto in una riaffermata volontà di vittoria. Altri e più consci eroismi sono necessari, per cancellare anche il ricordo di quelle poche ore sciagurate!

Dopo i facili successi, questo fu il primo scacco del nemico. Sperava di veder l’Italia abbattuta e dissolta tra le contese: essa è soltanto ferita, ma è una e decisa più che mai.

Simultaneamente anche le nostre maggiori alleate intesero l’atroce intenzione del colpo vibrato alla alleata più vulnerabile: quella di scindere l’unità dell’Intesa, ancora mal cementata. E la minaccia fece quello che, disgraziatamente, non erano riesciti a fare due anni di successi continui, ma sparpagliati e quasi discordi: l’altra alleanza, che si trascinava tra le sottigliezze e il superstite protocollo della conferenza, è divenuta una fratellanza d’armi e di cuori, un’unione di popoli compatti contro il nemico irriducibile. Francia e Inghilterra si unirono a noi contro il nemico astuto e rimbaldanzito.

E prima a mettercisi a fianco fu la Francia, con uno slancio veramente fraterno. La Francia è il prodigio di questa guerra. Essa non si preparava a combattere da decenni, con cocciuta perseveranza come la Germania tra le caserme e gli arsenali. Essa dimenticava anzi un poco la guerra, tutta presa nella sua vita mirabile e molteplice, nutrita della più schietta umanità. Essa dava al mondo, instancabilmente, i tesori del suo spirito elegante e i frutti sereni delle sue arti e le sintesi sostanziose della scienza. Il sapere, che era arida formula o faticosa ricerca presso altri popoli, diveniva succo vitale per tutti attraverso altri i suoi libri. Ed essa era, a sollievo di questa grama vita, il sorriso del mondo.

Ebbene, appena l’aggressione la scosse nei giorni tragici di quel lontano agosto, la Francia si rinnovò come per incanto. Dimenticò le mollezze e i sorrisi, e i dissensi, e tornò d’un colpo la grande guerriera, che combatte tutte le battaglie della libertà. Attinse le nuove forze alla sua antica eroica tradizione, che il nemico sperava obliata; inferse sulla Marna il primo colpo al pesante barbaro, più forte di lei in tutto fuorché nella genialità; noi si prodigò su tutti i campi, in cento battaglie, sacrificò i suoi figli senza contare e senza gemere, degna sempre del gran nome ch’ella difendeva, veramente latina.

martedì 2 febbraio 2016

Manifesto anarchco contro la guerra


MANIFESTO INTERNAZIONALE ANARCHICO CONTRO LA GUERRA



L’Europa è in fiamme; una dozzina di milioni di uomini sono impegnati nel più terribile macello che la storia ricordi; centinaio di milioni di donne e di bambini sono in lacrime; la vita economica, intellettuale e morale di sette grandi popoli è brutalmente sospesa; e diviene ogni giorno più grave la minaccia che sorgano nuove complicazioni militari. Questo è il penoso, angoscioso e odioso spettacolo presentato dal mondo civile.

Ma è uno spettacolo non inaspettato, per gli anarchici almeno. Poiché per gli anarchici non vi è mai stato, né vi è oggi alcun dubbio (e gli orribili avvenimenti attuali rafforzano tale convinzione) che la guerra è in permanente gestazione nell’odierno sistema sociale.

Il conflitto armato, ristretto o allargato, coloniale o europeo, è la conseguenza naturale, l’inevitabile e fatale risultato di un regime che si basa sulla disuguaglianza economica dei cittadini e sullo sfruttamento dei lavoratori; d’un regime che riposa sul selvaggio antagonismo degli interessi, e pone il mondo del Lavoro sotto la stretta dolorosa dipendenza di una minoranza di parassiti che tengono nello loro mani il potere politico ed economico.

La guerra era inevitabile. Da qualunque parte venisse, doveva scoppiare. Non invano, per mezzo secolo, si sono febbrilmente preparati i più formidabili armamenti e s’è aumentato incessantemente il bilancio della morte. Non è col costante perfezionamento delle armi da guerra e col rivolgere gli spiriti e i desideri di tutti ad una sempre migliore organizzazione della macchina militare, che si può lavorare per la pace.

Perciò è stolto ed infantile, dopo aver moltiplicato le cause e le occasioni del conflitto, voler fissare le responsabilità di questo o quel Governo. Nessuna distinzione è possibile fra guerra offensiva e guerra difensiva. Nel presente conflitto, i governi di Berlino e di Vienna han cercato di giustificarsi con documenti più o meno autentici, come quelli dei governi di Parigi, Londra e Pietrogrado. Ciascuno fa del suo meglio, per produrre i più indiscutibili e decisivi documenti atti a stabilire la veridicità delle proprie asserzioni e per presentarsi quali immacolati difensori del diritto e della libertà, e quali campioni della civiltà.

Civiltà? Chi dunque in questo momento la rappresenta? È forse lo Stato Tedesco col suo formidabile militarismo, e così potente che ha sofferto ogni possibilità di rivolta? Forse lo Stato Russo, pel quale il knout, la forca e la Siberia sono i soli mezzi di persuasione? Forse lo Stato Francese col suo Biribì, le sue sanguinose conquiste nel Tonchino, nel Madagascar e nel Marocco e col suo arruolamento forzato di truppe nere? Forse questa Francia che detiene nelle sue prigioni, da anni, dei compagni colpevoli solo di aver scritto o parlato contro la guerra? È forse lo Stato Inglese che sfrutta, divide e opprime le popolazioni del suo immenso impero coloniale?

NO! Nessuno dei belligeranti ha il diritto d’invocare il nome della civiltà, come nessuno ha il diritto di dichiararsi in istato di legittima difesa.

La verità è che la causa delle guerre, la causa di quella attuale che bagna di sangue umano le terre di Europa, come di tutte le guerre che l’hanno preceduta risiede unicamente nell’esistenza dello Stato che è la forma politica del privilegio.

Lo Stato è nato dalla forza militare; è attraverso l’uso di questa forza che si è sviluppato, ed è quindi sulla forza militare che logicamente deve riposare per mantenere la sua onnipotenza. Qualunque sia la forma che esso può assumere, lo Stato non è se non l’oppressione organizzata a beneficio delle minoranze privilegiate. Il presente conflitto illustra tutto ciò nella maniera più convincente. […][1]



[1] Manifesto internazionale anarchico contro la guerra, Londra, marzo 1915.

Materiali per la riscrittura (2AG - gennaio 2016)


Riscrivi le seguenti frasi





(Correggi la punteggiatura, l’ortografia e il lessico e riscrivi la frase modificando le parti sottolineate –ma non solo!- nella forma e nelle scelte lessicali, dividendo le frasi troppo lunghe e cercando di renderle chiare e scorrevoli)





Oggi la maggior parte della popolazione ha la necessità di seguire una routine.

(lessico)





Se un tempo il popolo necessitava di trasgredire la quotidianità, ora sente la voglia di tornare a cucinare, a guardare la TV…

(lessico)





Tuttavia le abitudini sono importanti nella vita di ognuno di noi e spesso possono assumere un carattere superstizioso.

(connettivo)





Le abitudini più comuni sono, per esempio: prendere il caffè allo stesso bar, ascoltare la radio in auto, acquistare e leggere lo stesso giornale.

(punteggiatura)





Questo è il simbolo che pian piano stiamo cambiando.

(lessico)





In molti hanno una propria routine; chi ha bisogno di svolgere una determinata azione, chi invece un oggetto.

(lessico; sintassi; punteggiatura)





Molti vivono di routine, in essa ripongono la serenità.

(lessico, connettivo)





Le mie giornate sono molto organizzate, a causa probabilmente di molti impegni.

(lessico)





Una giornata senza scadenze non è quello che voglio; io desidero sentirmi attiva o meglio dire viva.

(connettivo; sintassi)





La domenica non si va più in Chiesa.

(ortografia)





Sapevo solo che mi dovevo alzare, prepararmi, andare a scuola e, la sera, andare a letto presto.

(uso del pronome)





È di questo che abbiamo bisogno noi, uomini e donne.

(ordine delle parole: chi scrive è una ragazza!)





L’irraggiungibile fine delle nostre sofferenze diventa motivo di tristezza e demoralizzazione.

(frase involuta)





Ma c’è anche chi è sereno e non è minimamente interessato alla routine.

(connettivo per vivacizzare la frase)





Le donne sono da sempre considerate inferiori rispetto all’uomo, questo perché molte persone hanno interpretato male il significato di alcune frasi che si possono leggere sulla Bibbia e sul Corano, come la nascita di Eva o le rigide regole imposte alle donne dagli islamisti.

(riscrivere l’intera frase)





Eppure non è vero, è scientificamente provato che entrambi i sessi dispongono di un cervello eguale.

(connettivo)





I pregiudizi verso le donne sembrano essere finiti da circa un secolo, ma non è così.

(lessico)





Le donne furono sempre più escluse dalla vita esterna e ne fu limitata la libertà, così non poterono studiare né lavorare. Infatti, rimasero ignoranti.

(lessico, punteggiatura, uso del pronome, connettivo)





Questa situazione si verificò anche all’epoca dei Greci, dove, ad Atene, alle donne non era permesso votare.

(sintassi; uso di dove)





Viviamo in un’epoca in cui la scienza sta facendo passi da gigante: dall’astronomia alle nuove tecnologie, dalle biotecnologie agli infiniti misteri del corpo umano.

(espressione mal formulata)





A ciò, però, vi è una motivazione, si ha paura dell’altro.

(frase mal formulata)