venerdì 19 febbraio 2016

Fratellanza d’armi latina


Il barbaro ha forzato una volta ancora la porta delle Alpi: sempre eguale attraverso i secoli, ma fatto più atroce da una somma di sapere, che per noi fu stimolo verso la giustizia e la libertà, e per lui non fu che una nuova arma di conquista e d’oppressione. La civiltà latina, così tenacemente e faticosamente difesa in tre lunghi anni di lotta su tutti i campi d’Europa, riceve il nuovo urto rabbioso qui sulle nostre praterie, sulle nostre campagne che hanno or ora accolto il seme, tra le belle città venete vigilate dal Leone, che simboleggiò attraverso cento altri vani conati della barbarie la volontà e la dirittura dello spirito romano.

È forse l’estremo urlo. L’Italia ha vacillato sulle prime. L’impresa era stata preparata con tutte le arti più perfide e subdole chiamate in aiuto delle macchine più micidiali: questo fu sempre lo stile del nemico, che con la forza non ha la semplicità e la rude sincerità che la rendono generosa. Alla vigilia dell’inverno, la guerra, sparpagliata su tanti fronti, sembrava quasi oziare nell’attesa della primavera liberatrice. Gli alleati si raccoglievano tutti, fiduciosamente, ma ciascuno per sé, nella loro grande preparazione. E l’impresa nemica, predisposta nell’ombra, colse noi e colse tutto il mondo quasi inaspettata…

Bastarono poche ore sciagurate per abbattere l’opera di tanti sforzi e di tanti eroismi. Ma dalle grandi angosce nascono le grandi risoluzioni.

Mentre le orde trascinavano pesantemente giù per le nostre valli la bella pianura agognata, le loro artiglierie, davanti alla minaccia improvvisa e tremenda tutti gli animi si unirono. L’Italia dimenticò ogni sua discordia: ogni cittadino comprese in un lampo l’unica necessità imperiosa, e tutti sorsero, gettando le malvage riserve o le comode protervie, finalmente uniti, finalmente italiani, contro l’invasore. Sentimmo davvero la guerra in tutta la sua grandiosità terribile, come non l’avevamo sentita mai. Sentimmo, dapprima, la necessità della salute e questa coscienza fiammeggiò tosto in una riaffermata volontà di vittoria. Altri e più consci eroismi sono necessari, per cancellare anche il ricordo di quelle poche ore sciagurate!

Dopo i facili successi, questo fu il primo scacco del nemico. Sperava di veder l’Italia abbattuta e dissolta tra le contese: essa è soltanto ferita, ma è una e decisa più che mai.

Simultaneamente anche le nostre maggiori alleate intesero l’atroce intenzione del colpo vibrato alla alleata più vulnerabile: quella di scindere l’unità dell’Intesa, ancora mal cementata. E la minaccia fece quello che, disgraziatamente, non erano riesciti a fare due anni di successi continui, ma sparpagliati e quasi discordi: l’altra alleanza, che si trascinava tra le sottigliezze e il superstite protocollo della conferenza, è divenuta una fratellanza d’armi e di cuori, un’unione di popoli compatti contro il nemico irriducibile. Francia e Inghilterra si unirono a noi contro il nemico astuto e rimbaldanzito.

E prima a mettercisi a fianco fu la Francia, con uno slancio veramente fraterno. La Francia è il prodigio di questa guerra. Essa non si preparava a combattere da decenni, con cocciuta perseveranza come la Germania tra le caserme e gli arsenali. Essa dimenticava anzi un poco la guerra, tutta presa nella sua vita mirabile e molteplice, nutrita della più schietta umanità. Essa dava al mondo, instancabilmente, i tesori del suo spirito elegante e i frutti sereni delle sue arti e le sintesi sostanziose della scienza. Il sapere, che era arida formula o faticosa ricerca presso altri popoli, diveniva succo vitale per tutti attraverso altri i suoi libri. Ed essa era, a sollievo di questa grama vita, il sorriso del mondo.

Ebbene, appena l’aggressione la scosse nei giorni tragici di quel lontano agosto, la Francia si rinnovò come per incanto. Dimenticò le mollezze e i sorrisi, e i dissensi, e tornò d’un colpo la grande guerriera, che combatte tutte le battaglie della libertà. Attinse le nuove forze alla sua antica eroica tradizione, che il nemico sperava obliata; inferse sulla Marna il primo colpo al pesante barbaro, più forte di lei in tutto fuorché nella genialità; noi si prodigò su tutti i campi, in cento battaglie, sacrificò i suoi figli senza contare e senza gemere, degna sempre del gran nome ch’ella difendeva, veramente latina.

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