Il
barbaro ha forzato una volta ancora la porta delle Alpi: sempre eguale
attraverso i secoli, ma fatto più atroce da una somma di sapere, che per noi fu
stimolo verso la giustizia e la libertà, e per lui non fu che una nuova arma di
conquista e d’oppressione. La civiltà latina, così tenacemente e faticosamente
difesa in tre lunghi anni di lotta su tutti i campi d’Europa, riceve il nuovo
urto rabbioso qui sulle nostre praterie, sulle nostre campagne che hanno or ora
accolto il seme, tra le belle città venete vigilate dal Leone, che simboleggiò
attraverso cento altri vani conati della barbarie la volontà e la dirittura
dello spirito romano.
È
forse l’estremo urlo. L’Italia ha vacillato sulle prime. L’impresa era stata
preparata con tutte le arti più perfide e subdole chiamate in aiuto delle
macchine più micidiali: questo fu sempre lo stile del nemico, che con la forza
non ha la semplicità e la rude sincerità che la rendono generosa. Alla vigilia
dell’inverno, la guerra, sparpagliata su tanti fronti, sembrava quasi oziare
nell’attesa della primavera liberatrice. Gli alleati si raccoglievano tutti,
fiduciosamente, ma ciascuno per sé, nella loro grande preparazione. E l’impresa
nemica, predisposta nell’ombra, colse noi e colse tutto il mondo quasi
inaspettata…
Bastarono
poche ore sciagurate per abbattere l’opera di tanti sforzi e di tanti eroismi.
Ma dalle grandi angosce nascono le grandi risoluzioni.
Mentre
le orde trascinavano pesantemente giù per le nostre valli la bella pianura agognata,
le loro artiglierie, davanti alla minaccia improvvisa e tremenda tutti gli
animi si unirono. L’Italia dimenticò ogni sua discordia: ogni cittadino
comprese in un lampo l’unica necessità imperiosa, e tutti sorsero, gettando le
malvage riserve o le comode protervie, finalmente uniti, finalmente italiani,
contro l’invasore. Sentimmo davvero la guerra in tutta la sua grandiosità
terribile, come non l’avevamo sentita mai. Sentimmo, dapprima, la necessità
della salute e questa coscienza fiammeggiò tosto in una riaffermata volontà di
vittoria. Altri e più consci eroismi sono necessari, per cancellare anche il
ricordo di quelle poche ore sciagurate!
Dopo
i facili successi, questo fu il primo scacco del nemico. Sperava di veder
l’Italia abbattuta e dissolta tra le contese: essa è soltanto ferita, ma è una
e decisa più che mai.
Simultaneamente
anche le nostre maggiori alleate intesero l’atroce intenzione del colpo vibrato
alla alleata più vulnerabile: quella di scindere l’unità dell’Intesa, ancora
mal cementata. E la minaccia fece quello che, disgraziatamente, non erano
riesciti a fare due anni di successi continui, ma sparpagliati e quasi
discordi: l’altra alleanza, che si trascinava tra le sottigliezze e il
superstite protocollo della conferenza, è divenuta una fratellanza d’armi e di
cuori, un’unione di popoli compatti contro il nemico irriducibile. Francia e
Inghilterra si unirono a noi contro il nemico astuto e rimbaldanzito.
E
prima a mettercisi a fianco fu la Francia, con uno slancio veramente fraterno. La
Francia è il prodigio di questa guerra. Essa non si preparava a combattere da
decenni, con cocciuta perseveranza come la Germania tra le caserme e gli
arsenali. Essa dimenticava anzi un poco la guerra, tutta presa nella sua vita
mirabile e molteplice, nutrita della più schietta umanità. Essa dava al mondo,
instancabilmente, i tesori del suo spirito elegante e i frutti sereni delle sue
arti e le sintesi sostanziose della scienza. Il sapere, che era arida formula o
faticosa ricerca presso altri popoli, diveniva succo vitale per tutti
attraverso altri i suoi libri. Ed essa era, a sollievo di questa grama vita, il
sorriso del mondo.
Ebbene,
appena l’aggressione la scosse nei giorni tragici di quel lontano agosto, la
Francia si rinnovò come per incanto. Dimenticò le mollezze e i sorrisi, e i
dissensi, e tornò d’un colpo la grande guerriera, che combatte tutte le
battaglie della libertà. Attinse le nuove forze alla sua antica eroica
tradizione, che il nemico sperava obliata; inferse sulla Marna il primo colpo
al pesante barbaro, più forte di lei in tutto fuorché nella genialità; noi si
prodigò su tutti i campi, in cento battaglie, sacrificò i suoi figli senza
contare e senza gemere, degna sempre del gran nome ch’ella difendeva, veramente
latina.
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