Il
Caffè di Massimo Gramellini (Corriere
della Sera, 11 aprile 2017)
Centomila, nessuno, uno
Quando
sabato sera, alle nove in punto, ha varcato il sipario del «Teatro del Popolo»
di Gallarate, l’attore Giovanni Mongiano si è reso conto che in platea non
c’era nessuno. Ma non per modo di dire. Non c’era proprio nessuno. Sotto di lui
le poltrone rosse splendevano di mesta vuotaggine. Neanche uno spettatore
pagante. Ma neanche uno non pagante, che nella patria dei biglietti omaggio è
qualcosa di più di una bestemmia: una notizia. Mongiano non ha smesso di
sorridere e ha incrociato lo sguardo degli unici altri esseri umani presenti in
sala, la cassiera disoccupata e la tecnica delle luci che poi ha raccontato la
storia a un giornale locale. Perché a quel punto, nel teatro deserto, l’attore
ha deciso di recitare comunque. L’intero monologo, senza saltare una battuta.
Così ha preso forma una di quelle magie che capitano talvolta, e non solo a
teatro: una situazione avvilente è diventata emozionante e l’umiliazione si è
trasformata in gloria.
Nella
società dello spettacolo siamo tutti un po’ attori che ogni giorno salgono su
un palco per reclamare il consenso degli altri, mai come oggi misurabile in
numeri, persino nella piazza virtuale di Facebook. L’idea che si possa fare
qualcosa senza essere visti da nessuno, per il puro piacere o dovere di farlo,
sembra bizzarra e gratuita, dunque sommamente artistica. Dopo uno spettacolo
che è stata una lezione, nella sala vuota di Gallarate risuonino per l’attore
Mongiano gli applausi ammirati di chi non sa se avrebbe la forza di imitarlo.
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