Iliade
(trad. R. Calzecchi Onesti)
Elena va sulle
mura di Troia a vedere il duello fra Paride e Menelao; è la prima volta che compare
nell’Iliade.
III
121-180
Ma
Iri venne ad Elena braccio bianco, messaggera,
sembrando
la cognata, la sposa dell’Antenorίde,
quella
che il figlio d’Antènore, il potente Elicàone, aveva,
Laodice,
bellissima tra le figlie di Priamo.
La
trovò nella sala: tesseva una tela grande,
doppia,
di porpora, e ricamava le molte prove
che
Teucri domatori di cavalli e Achei chitoni di bronzo
subivan
per lei, sotto la forza d’Ares.
Standole
accanto, Iride piede rapido disse:
«Vieni
qua, cara sposa, a vedere le azioni ammirande
dei
Teucri domatori di cavalli e degli Achei chitoni di bronzo:
prima
gli uni agli altri portavano guerra lacrimosa
nella
pianura, bramando lotta e rovine,
ora
stanno seduti in silenzio – la guerra è cessata –
appoggiati
agli scudi, e l’aste lunghe sono infitte vicino.
Ma
Alessandro e Menelao caro ad Ares
con
l’aste lunghe lotteranno per te,
e
tu del vincitore sarai la cara sposa».
Dicendo
così, la dea le mise in cuore dolce desìo
del
suo primo marito, dei genitori, della città...
Subito,
di bianchi veli coprendosi,
mosse
dalla stanza, versando una tenera lacrima:
non
sola, ma la seguivano anche due ancelle,
Etra
figlia di Pitteo e Climene occhi grandi.
Giunsero
in fretta dov’erano le porte Scee.
E
i compagni di Priamo, e Pàntoo e Timete,
e
Lampo e Clitio e Icetàone rampollo d’Ares,
Ucalègonte
e Antènore, l’uno e l’altro prudenti
sedevano
– gli Anziani– presso le porte Scee:
per
la vecchiaia avevano smesso la guerra, ma parlatori
nobili
erano, simili alle cicale, che in mezzo al bosco
stando
sopra una pianta mandano voce fiorita:
così
sedevano i capi dei Troiani presso la torre.
Essi
dunque videro Elena venire verso la torre,
e
a bassa voce l’un l’altro dicevano parole fugaci:
«Non
è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti,
per
una donna simile soffrano a lungo dolori:
terribilmente,
a vederla, somiglia alle dee immortali!
Ma
pur così, pur essendo sì bella, vada via sulle navi,
non
ce la lascino qui, danno per noi e pei figli anche dopo!»
Dicevano
appunto così: e Priamo chiamò Elena a voce alta:
«Vieni
qui, figlia mia, siedi vicino a me,
a
vedere il tuo primo marito, e gli alleati e gli amici:
non
certo tu sei colpevole davanti a me, gli dèi son colpevoli,
essi
mi han mosso contro la triste guerra dei Danai;
vieni
a dirmi il nome di quel guerriero mirabile;
chi
è colui, quell'eroe acheo forte e grande?
Certo,
ve ne sono altri più alti della testa,
ma
uno così bello non l'ho mai colto con gli occhi,
così
maestoso; ha l'aspetto d'un re!»
Ed
Elena lo ricambiò con parole, la donna gloriosa:
«Tu
sei per me venerando e terribile, suocero mio.
Oh
se mi fosse piaciuta morte crudele, quando qui
Il
figlio tuo seguii, lasciando talamo e amici,
e
la figlietta tenera e le compagne amabili…
Ma
non avvenne così, perciò mi struggo a piangere.
Io
ti dirò quello che chiedi e ricerchi:
è
il figlio di Atreo, il molto potente Agamennone,
sovrano
nobile e guerriero gagliardo:
era
cognato mio, di me cagna, se mai questo fu.»
Ettore si reca
nella reggia da Paride per spronarlo a rientrare in battaglia; lì incontra
anche Elena.
VI
312-368
Esse
dunque pregavano la figlia del gran Zeus,
e
intanto Ettore giunse alla dimora d’Alessandro,
bella,
ch’egli si costruì con l’aiuto di quanti allora bravissimi
erano
in Troia fertile zolla artefici fabbricatori;
questi
gli fecero un talamo, una sala, un cortile,
accanto
a Priamo e ad Ettore sull’alto della rocca.
Entrò
Ettore amato da Zeus, e in mano
aveva
l’asta di undici cubiti; in cima splendeva la punta
di
bronzo dell’asta, e intorno un cerchio d’oro correva.
E
lo trovò nella stanza, che l’armi belle poliva,
lo
scudo e la corazza; e tentava il curvo arco;
Elena
argiva in mezzo alle donne sue schiave
sedeva,
e comandava alle ancelle lavori mirabili.
Ettore
come lo vide l’apostrofò con parole d’ingiuria:
«Sciagurato,
tanto corruccio male ti covi in cuore!
Muore
la gente intorno alla città e all’alto muro
combattendo;
per te strepito e guerra
circondano
questa città; anche tu con un altro l’avresti,
se
lo vedessi lasciare l’odiosa battaglia;
ma
levati su, che presto la rocca non crolli nel fuoco nemico».
Allora
gli disse Alessandro simile a un dio:
«Ettore,
poiché secondo giustizia m’assali, non contro giustizia,
per
questo io parlerò; e tu comprendimi e ascolta;
non
per ira o malanimo contro i Troiani, tanto
rimasi
nel mio talamo; volevo sfogare il dolore.
La
sposa, ora, parlandomi con soavi parole
m’ha
incitato alla lotta, e pare anche a me che così
sarà
meglio: cambia uomini la vittoria.
Dunque
aspettami adesso: io vesto l’armi d’Ares.
Oppure
va’, ché ti seguo; son certo di raggiungerti».
Disse
così; nulla rispose Ettore elmo abbagliante.
Ma
Elena gli si volse con parole di miele:
«Cognato
mio, d’una cagna maligna, agghiacciante,
ah
m’avesse quel giorno, quando la madre mi fece,
afferrato
e travolto un turbine orrendo di vento,
sopra
un monte o tra il flutto del fragoroso mare;
e
il flutto m’avesse spazzato, prima che queste cose accadessero...
Ma
dopo che gli dèi fissaron così questi mali,
avrei
voluto essere almeno sposa d’un uomo più forte,
che
fosse sensibile alla vendetta, ai molti affronti degli uomini.
Costui
non ha ora cuor saldo e neanche lo avrà
certo
mai; e temo che ne mieterà il frutto.
Ma
tu vieni qui ora, siediti in questo seggio,
cognato,
ché molti travagli intorno al cuore ti vennero
per
colpa mia, della cagna, e per la follia d’Alessandro
ai
quali diede Zeus la mala sorte. E anche in futuro
noi
saremo cantati fra gli uomini che verranno... »
Allora
le rispose Ettore grande, elmo abbagliante:
«Elena,
se m’hai caro non farmi sedere, non puoi persuadermi;
già
il mio cuore m’affanna, perch’io porti aiuto
ai
Troiani, cui tanto rincresce la mia lontananza.
Piuttosto
spingi costui e lui s’affretti,
e
mi raggiunga finché sono ancora in città;
io
voglio andare a casa, voglio vedere
i
servi e la mia sposa e il figlio piccino;
non
so se potrò ancora tornare fra loro,
o
se gli dèi, fra poco, mi finiranno sotto mani achee».
Saffo,
fr. 16 Voigt (trad. di G. Guidorizzi)
Dicono
che sopra la terra nera
la
cosa più bella sia una fila di cavalieri,
o
di opliti, o di navi.
Io
dico: quello che s’ama.
Chiunque
può capirlo facilmente:
colei
che superava di molto
tutti
i mortali per bellezza, Elena,
abbandonò
lo sposo
-
il più eccellente degli uomini -
e
fuggì a Troia per mare.
Dimenticò
la figlia, dimenticò
i
cari genitori.
Fu
Afrodite a sviarla.
...
Così
ora mi torna alla mente
Anattoria
lontana.
Oh.
preferirei rivedere
il
suo amabile passo,
il
candore splendente del viso,
piuttosto
che i carri dei Lidi
e
battaglie di uomini in armi.
Luciano,
I dialoghi dei morti
Menippo - Dove sono,
allora, i belli e le belle, Ermes? Fammi da guida, visto che sono qui da poco.
Ermete - No ho tempo,
Menippo; tuttavia guarda da quella parte, a destra: là ci sono Giacinto,
Narciso, Nireo, Achille, Tiro, Elena, Leda e insomma tutte le antiche bellezze.
Menippo - Vedo solo ossa e
crani privi di carni, per lo più uguali.
Caronte - Eppure le ossa
che tu sembri disprezzare sono quelle che tutti i poeti ammirano.
Menippo - Almeno mostrami
Elena: io infatti da solo non riuscirei a riconoscerla.
Ermete - Questo qui è il
cranio di Elena.
Menippo - Dunque per questo
le navi furono armate da ogni parte della Grecia e tanti Greci e Barbari
caddero e tante città sono andate distrutte?
Ermete - Ma non vedesti,
Menippo, la donna in vita: avresti detto anche tu che era un fatto non
disdicevole “Pene soffrire per lungo tempo per tal donna” e poi anche i fiori
che sono secchi – se uno li guardasse quando hanno perso il colore – è evidente
che gli sembrino brutti; quando invece sono fioriti ed hanno anche il colore
sono bellissimi.
Menippo - proprio per
questo, Ermes, mi meraviglio che gli Achei non capissero di affaticarsi per un
fatto così sfuggevole e che sfiorisce facilmente.
Ermete - Non ho tempo,
Menippo, di filosofeggiare con te. Quindi tu, dopo esserti scelto un luogo,
riposati dopo esserti sistemato. Io, invece, mi occuperò nel frattempo degli
altri morti.
Nessun commento:
Posta un commento