mercoledì 13 gennaio 2016

Relazione del Commissario Borrelli


«Ieri, poco dopo le ore 20, circa duecento giovani, in buona parte studenti, si riunirono in piazza V.E. e agitando una bandiera nazionale mossero verso il monumento omonimo fra le grida di “W l’Italia, abbasso i traditori, abbasso Giolitti”.

Il gruppo a poco a poco si ingrossò fino a diventare il triplo, quasi. Mentre così rinforzato si andava snodando lentamente per formare un ampio circolo intorno al monumento, tre o quattro gruppi di persone di varia età ai quali si erano frammisti soldati di ogni arma, ma in prevalenza di fanteria e di artiglieria, nonché di guardie di finanza, si addossarono scompigliatamente ai dimostranti patriottici, gridando “abbasso la guerra”. Avvenne tosto una reazione di grida opposte da parte di questi ultimi, e subitamente dalle invettive e dalle minacce, incrociantisi con straordinaria veemenza, si passò alle vie di fatto.

Mi gettai in mezzo ai contendenti con i pochi carabinieri ed agenti in borghese disponibili, e mentre il pubblico, accorrente da tutti i lati della vasta piazza, infittiva conclamando con atteggiamenti di ostilità varia verso le due parti in contesa, riuscii a sbandarli ed evitare gravi incidenti. Quello che apparve e fu veramente giudicato vergognoso e disonorante fu l’azione di non pochi richiamati, il cui neutralismo culminò per taluni, forse in un bieco momento d’incoscienza civile, in manifestazioni antipolitiche e provocatrici di reazioni patriottiche.

Ai più scalmanati fra essi dissi fiere parole, ed imposi che si ritirassero; ad altri, meno tracotanti, rammentai ad alta voce, fra il fervido consenso dei ben pensanti, il dovere della disciplina e l’onore della divisa del soldato italiano.

Intanto lo stuolo dei dimostranti, disimpegnato in tal modo dalla mossa degli avversari, i quali, sostenuti da parecchi soldati, tentavano invano di strappare la bandiera al portatore, si diresse verso via Mazzini al canto di inni patriottici.

Giunto all’altezza del restaurant Accademia, un soldato d’artiglieria, accompagnato a due altri di fanteria, inveì contro il portatore della bandiera con grida altezzose di “abbasso la guerra”.

Molti del gruppo, assillati dalle parole infuocate del dott. Veronesi, contro il soldato provocatore, gli si spinsero addosso tempestandolo di pugni.

Col Vice-Commissario dott. Mazza e con gli agenti in borghese riuscimmo a trarre d’impaccio quello sconsigliato. Mentre il trambusto durava uscì dalla contigua bottiglieria Cattarozzi il dott. Caliari, socialista indipendente, ma di tendenze herveiste dell’antica maniera, il quale, sorretto da alcuni amici, si scagliò contro il Veronesi, vibrandogli dei pugni al viso. Riuscimmo a sedare il parapiglia, e mentre il percussore fu accompagnato in Questura dal Mazza, feci proseguire senza ulteriori incidenti lo stuolo dei dimostranti. Al monumento di Garibaldi pronunciò brevi parole, ma vibranti di patriottismo l’avv. Caperle, socialista riformista. Quivi il corteo, in seguito a mie raccomandazioni, si sciolse pacificamente,   

Più tardi, in piazza V.E. si erano andati formando man mano piccoli gruppi di interventisti e neutralisti. Si rinnovarono, in misura più ristretta, gli stessi incidenti di prima, di grida e di abbasso. Il sollecito intervento della forza, alla dipendenza mia e del capitano dei RR.CC. Sig. Aldo Rossi, valse ad evitare conseguente molteplici e gravi e non si ebbero, che il ferimento non di entità del sig. Steccanella, e la rottura di qualche tavolo e di alcuni bicchieri del Lowenbrau.

Anche questa volta i neutralisti erano favoreggiati da piccoli nuclei di militari, tre dei quali cioè uno dell’80° Fanteria, uno del deposito del 79°, ed un terzo del 29° Artiglieria, essendo i più eccitati ed irriducibili, furono dai Carabinieri accompagnati nelle rispettive caserme. Altri, meno recalcitranti, feci allontanare dagli Agenti; a qualche altro veniva ingiunto da qualche raro superiore di rientrare in caserma.

Accenno qualche episodio per meglio lumeggiare le circostanze dei disgustosi incidenti. Una guardia di finanza richiamata gridò ripetutamente in piazza V.E “W l’Austria” fu assalita e percossa.

Un sottotenente di finanza, richiamato, gridò nella stessa piazza, “Abbasso la guerra”. Fu minacciato ed ingiuriato dagli interventisti, fra cui era il noto Ranieri. Un ufficiale dei bersaglieri ed un altro di artiglieria presero le difese di un bersagliere, spavaldamente neutralisti.

Il neutralista Minetti Antonio, fonditore, venne alle mani col sergente, allievo ufficiale, Presti Vittorio dell’8° Artiglieria perché aveva preso le parti di un bersagliere neutralista il quale aveva concorso alla rottura dei tavoli al Lowenbrau. Il Presti aveva redarguito il bersagliere sconsigliato; di qui il risentimento del Minetti.

Tralascio per amore di brevità altri incidenti del genere.

Tale è stato dunque lo svolgimento della prima fase critica di queste incresciose dimostrazioni, le quali, se è stato possibile contenere nei limiti di una libertà non trasmodadrice e non esuberante, lo si deve in massima parte, alla saggezza delle istruzioni di V.S. Ill.ma, la cui attuazione ho curata come meglio potevo e sapevo[1].



                                                        Il Commissario di P.S

                                                        Borrelli 





                [1] Archivio di Stato di Verona, Fondo di Prefettura, b. 316, fasc., “Questura di Verona. Dimostrazione pro e contro la guerra. 14 maggio 1915”, Relazione riservata al questore di Verona, 14 maggio 1915.

Santa guerra contro l'Austria (l'Arena)


LA SANTA GUERRA CONTRO L’AUSTRIA

L’ITALIA OGGI INAUGURA CON LE ARMI LA SUA NUOVA STORIA

IN ALTO LE SPADE E LE BANDIERE PER LA GLORIA E VITTORIA D’ITALIA



Dalla cima del Campidoglio le gloriose aquile romane hanno ancora una volta impennato il volo alla vittoria.

Da ogni terra d’Italia si è levato ancora una volta il canto di guerra!

Canto solenne e terribile, perché non è il popolo che si è svegliato alla diana ma tutta una stirpe, una razza che non vuole procombere, ma affermare le indistruttibili e le infrangibili ragioni della sua esistenza.

L’Italia che dominò il mondo soprattutto con la forza del diritto e della scienza, perenne faro di civiltà, l’Italia oggi riprende le armi e le snuda al sole per difendere le sue tradizioni universali.

Fu creduta debole, misera, solo capace di umiltà e di mercati.

Orbene, oggi anch’ella grida: «basta», ed alza la bandiera e la spada e muove finalmente incontro al nemico.

Mentre verghiamo queste righe il cannone tuona ai confini e forse sul mare nostro all’eco risponde un formidabile rombo.

È la voce d’Italia, che credevamo ancora terra dei morti!

Questa non è ora di parole o di lagrime. È ora di forza!

I nostri fratelli, i nostri figli, scrivono in questo momento con il loro grido, con il loro sangue, con la loro vita, la più grande pagina della nostra storia!

In alto le bandiere!

Muovono le orde dei nemici, dei barbari contro le nostre terre, le nostre case!

In alto le spade e avanti!

Eroi di Solferino e San Martino, di Custoza e di Pastrengo, è giunta la nuova ora di Rivendicazione!

Ombre di Carlo Montanari, Verona ricorda, ricorda oggi il tuo supplizio, e guarda in tanto lassù verso i monti…

Il tuo sogno si avvera, si realizza…

Sul cielo che s’incurva dietro le alpi si irradia una nuova luce, una luce d’aurora…

Sull’ara della patria oggi arde una fiamma bella e purificatrice.

Con il nemico alle porte, c’è una sola famiglia, c’è una sola idea, c’è una sola fede, una sola speranza.

E per questa idea, per questa fede, per questa speranza i nostri fratelli, i nostri figli, i nostri padri sono al cospetto della morte, intrepidi e sorridenti, animosi e gagliardi.

Veronese!

Imbandierate le vostre case, i vostri edifici, sulle vostre torri, sui campanili issate o spiegate al vento le bandiere!

Non è ora di morte, è ora di vita questa, è ora di gloria e di vittoria!

Sindaco di Verona, tu augurasti dalle colonne di un giornale del vecchio Piemonte il trionfo della patria, ebbene alza sulle sponde e sulle ire il civico gonfalone simbolo di concordia!

E sia unico il grido di Evviva l’Italia!


                [1] In «Arena» 24-25 maggio 1915.


Comizio socialista (Amico del Popolo)


COMIZIO SOCIALISTA



«Mercoledì sera indetto dai socialisti si tenne in piazza Garibaldi un comizio contro la guerra. Parlarono Giacometti, Baglioni, Bonato, Zanollo. Non ci occuperemo delle sciocchezze e delle banalità blasfeme che furono dette. Solamente ci sembra che in quest’ora di trepidazione e di raccoglimento queste manifestazioni pubbliche promosse indubbiamente per i loschi fini, non dovrebbero essere permesse. I socialisti sono sempre pronti a sfruttare anche i momenti più angosciosi che incombono sulla patria, e sorvolando sulle ragioni determinative della guerra e sull’essenza dell’attuale conflitto, ne pigliano il lato debole per sovvertire le masse.

Essi che sbraitano contro la guerra sono quelli che agognano e guazzerebbero volentieri nella rivoluzione sociale, che è la peggiore delle guerre. Per loro vedere fratelli contro fratelli nei conflitti provocati dalle perfide teorie socialiste, è un nonnulla.

Del resto a che si scalmanano tanto i socialisti nostrani contro la guerra, come guerra?

In Austria, in Germania gli stessi socialisti sono entusiasti della guerra in cui si avvolgono i loro governi. In Francia poi, la loro beniamina, l’entusiasmo è al colmo: eppure a presidente del consiglio dei ministri c’è il compagno Viviani, socialista autentico. E allora se anche là dove sono capi del governo socialisti autentici, la guerra si provoca, si vuole e si applaude, a che le vostre recriminazioni contro i governi? Voi al potere, fareste altrettanto. Anzi senza il potere, provocate, Romagna insegni, la più selvaggia delle guerre.

Gli intenti dei vostri comizi non furono sinceri, l’accenno patriottico fu di un patriottismo a scartamento ridotto, e la vostra volontà si espanse col pigliarvela anche mercoledì sera coi preti e coi clericali, e nel rivolgere le banalità più indegne contro la divinità.

Ecco l’ingrediente che non manca mai nei vostri pasticci, e così sfruttate trepidazioni, angosce, ansietà, lagrime che nell’ora che volge sovrastano la patria e le nazioni»[1].  



[1]
                [1] In «Amico del Popolo», 8 agosto 1914.

Bollettino Ecclesiastico Veronese


«Da dieci mesi quasi tutte le nazioni d’Europa si combattono accanitamente a vicenda in una guerra la più micidiale e disumana, unica nella storia della nostra stirpe, sia per la moltitudine pressoché innumerabile dei combattenti, sia per la forza spaventosa delle armi perfezionate e dei nuovi congegni di guerra adoperati, sia per l’orrendo macello di vittime umane, nuova inoltre per i campi di battaglia nei quali è combattuta, avendo essa occupato oltre quelle della terra e del mare anche le regioni dell’aria.

Un mese fa anche l’Italia nostra entrò a parte di questo immane duello; e già i suoi eserciti, superati i valichi settentrionali ed orientali del regno, hanno fatto le prime armi, ed avanzandosi di vittoria in vittoria, hanno sparso il generoso loro sangue nelle vicine valli del Trentino, sugli incantevoli monti della Carnia, e delle sponde del classico Isonzo.

Colpiti dal tremendo flagello della guerra, e trepidanti per gli orrori che la sogliono accompagnare e seguire, che faremo noi, o dilettissimi, nella triste e penosa ora che volge?

Penitenza, o carissimi, penitenza! […]

In questo tempo in cui Iddio offeso dai peccati degli uomini ci castiga tutti per emendarci e richiamarci a sé, noi sacerdoti dobbiamo essere per ufficio istromenti di riconciliazione […] ci presenteremo al popolo con in mano le tavole eterne della legge divina, rimproverandogliene le molte gravi trasgressioni che provocarono sulle genti e sui Principi il flagello di questa guerra mondiale: tali sono principalmente i peccati dell’ateismo e della incredulità proclamati in pubblico, della bestemmia e del turpiloquio; il malcostume diffuso dalla stampa, dai teatri e dai cinematografi, il tarlo che cagiona lo spopolamento delle città e delle nazioni con la profanazione della santità del matrimonio, e la moda disonesta venutaci da altri mondi, e da noi purtroppo più che tollerata, accolta e adottata.

Con la stessa affettuosa semplicità procuriamo di crescere e cementare sempre meglio l’ammirabile concordia di intenti e di propositi di tutto il popolo italiano nel coadiuvare le supreme autorità politiche e militari a sostenere il peso formidabile dell’ora presente. E mentre tanti e tanti nostri confratelli sparsi sul fronte e nel teatro di guerra con pericolo della loro vita incoraggiano i combattenti ed assistono i feriti, anche noi prestiamo volenterosi l’opera nostra nell’aiutare i vari Comitati di assistenza e di carità sorti in mezzo a noi, nel visitare i malati ed i feriti che verranno portati nei nostri ospedali, nel consolare le afflitte loro famiglie, nell’esercitare insomma quella divina carità, che è paziente, benefica, a tutto si accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (Cor. XIII, 4,7).

Ma alla semplicità della colomba aggiungiamo sempre la prudenza del serpente. E perciò asteniamoci da qualsiasi atto o discorso sia pubblico che privato, che potesse comecchesia alterare quella armonia e quella concordia di menti e di cuori, che in quest’ora solenne fa palpitare di un palpito solo ogni anima italiana. […] Lungi da voi ogni discussione intempestiva e pericolosa; badate inoltre che siamo nella zona di guerra e sotto l’impero della legge marziale […]»[1].



[1]
                [1] «Bollettino Ecclesiastico Veronese», 1 luglio 1915, pp. 156-161.

In alto i cuori (Amico del Popolo)


IN ALTO I CUORI



La storica seduta parlamentare del 20 maggio, ha affidato al Governo del Re i pieni poteri. Il Senato nel giorno seguente vi aggiungeva il suo autorevole voto unanime, e S.M. il Re sanzionava la legge.

Anche per l’Italia adunque la ora suprema è scoccata.

La guerra è già dichiarata.

Basta querimonie, basta polemiche, tacciano i dissensi, è l’ora della concordia nazionale. A questa concordia auspicammo nell’ultimo numero, la stessa affermiamo oggi.

In alto i cuori! Quando la Patria chiama, ognuno deve prendere il suo posto d’azione.

In alto i cuori! Amare davvero la Patria vuol dire dare alla medesima quel sacrificio e quel contributo che essa chiede.

In alto i cuori! Il nostro culto alla Patria trae forza e vigore dal nostro culto alla fede. Questi due sacri affetti si integrano a vicenda. Come cittadini e come cristiani, nell’ora tremenda che volge, tutti compiano il proprio dovere.

Oh! Faccia Iddio che il periodo angoscioso della prova sia ristretto entro i limiti più brevi di spazio e di tempo.

Preghiamo perché siano poche le madri, che non dovranno più rivedere i loro figlioli, le spose i loro mariti, i figli i loro padri.

Preghiamo per la salvezza dei nostri soldati che con abnegazione mirabile corsero sotto la bandiera della Patria. Auspichiamo alla gloria, al trionfo.

Ma mentre i nostri soldati combattono, un supremo dovere incombe a chi resta nei paese e nelle città. Dovere di cittadino, affermazione solenne di un cristianesimo vissuto, vogliono che nessuno resti inoperoso.

Quanta larga messe di opere caritatevoli non si apre dinanzi!

Ebbene sostituiamo i fratelli assenti, ed alle opere di carità diamo tutte le nostre energie di cuore e di volontà e di opera.

In alto i cuori! Il Signore benedica ai nostri fratelli combattenti, benedica alla nostra Patria, benedica a noi tutti: e questa benedizione abbrevi il tempo della prova.


Materiali per la riscrittura (2AG - gennaio 2016)


Riscrivi le seguenti frasi





(Correggi la punteggiatura, l’ortografia e il lessico e riscrivi la frase modificando le parti sottolineate –ma non solo!- nella forma e nelle scelte lessicali, dividendo le frasi troppo lunghe e cercando di renderle chiare e scorrevoli)





Quello che è successo a Parigi è stato qualcosa di orribile, di indegno.

(lessico, connettivo)





Come possono essere paragonati questi massacri, che altro non sono, alla grazia di un dio?

(lessico; sintassi)





Queste guerre hanno portato alla morte di dittatori, che nel bene o nel male, mantenevano l’ordine.

(lessico, punteggiatura)





Gli Americano potevano evitare di far scoppiare una guerra.

(modo)





Non vedevo un futuro sereno e soprattutto senza libertà.

(sintassi e coerenza logica)





Dunque è presente secondo me un problema di integrazione.

(cosa ti aspetti che sia stato detto nelle frasi precedenti?)





Quello che fanno i terroristi è estorcere le parole del corano.

(ortografia; lessico)





Prima dobbiamo prepararci al prossimo attacco imminente.

(pleonasmo)





Poi quest’ultimi vengono inviati in Occidente come “squadre della morte”, le quali vengono esortate a sacrificare la loro vita in nome del loro dio.

(ortografia; ordine delle parole, semplifica)





E’ plausibile che ora molti temono di viaggiare.

(modo, lessico)





Questa volta, la terza guerra mondiale, è stata scatenata dagli estremisti.

(punteggiatura)





Due aerei si precipitarono sulle torri gemelle provocando milioni di vittime.

(diatesi del verbo; dato esagerato)





A noi, adesso, è rimasto il dolore per le perdite subite, una città distrutta, dove il francese è rimasto solo attaccato ai nomi delle strade, e la paura di vivere.

(frase contorta, ordine delle parole)





Una causa della nascita dei terroristi fu proprio l’America.

(mal formulata)





Ora come ora io fatico a fidarmi degli altri.

(lessico; uso del pronome)





In realtà però, la risposta che io mi sento di dare, è un qualcosa di ben più complesso.

(punteggiatura, semplifica)





La fiducia è uno dei sentimenti più importanti per una persona; comporta il nostro stato d’animo.

(connettivo; lessico)