«Da dieci mesi quasi tutte le nazioni d’Europa si
combattono accanitamente a vicenda in una guerra la più micidiale e disumana,
unica nella storia della nostra stirpe, sia per la moltitudine pressoché
innumerabile dei combattenti, sia per la forza spaventosa delle armi
perfezionate e dei nuovi congegni di guerra adoperati, sia per l’orrendo
macello di vittime umane, nuova inoltre per i campi di battaglia nei quali è
combattuta, avendo essa occupato oltre quelle della terra e del mare anche le
regioni dell’aria.
Un mese fa anche l’Italia nostra entrò a parte di
questo immane duello; e già i suoi eserciti, superati i valichi settentrionali
ed orientali del regno, hanno fatto le prime armi, ed avanzandosi di vittoria
in vittoria, hanno sparso il generoso loro sangue nelle vicine valli del
Trentino, sugli incantevoli monti della Carnia, e delle sponde del classico
Isonzo.
Colpiti dal tremendo flagello della guerra, e
trepidanti per gli orrori che la sogliono accompagnare e seguire, che faremo
noi, o dilettissimi, nella triste e penosa ora che volge?
Penitenza, o carissimi, penitenza! […]
In questo tempo in cui Iddio offeso dai peccati degli
uomini ci castiga tutti per emendarci e richiamarci a sé, noi sacerdoti
dobbiamo essere per ufficio istromenti di riconciliazione […] ci presenteremo
al popolo con in mano le tavole eterne della legge divina, rimproverandogliene
le molte gravi trasgressioni che provocarono sulle genti e sui Principi il
flagello di questa guerra mondiale: tali sono principalmente i peccati dell’ateismo
e della incredulità proclamati in pubblico, della bestemmia e del turpiloquio;
il malcostume diffuso dalla stampa, dai teatri e dai cinematografi, il tarlo
che cagiona lo spopolamento delle città e delle nazioni con la profanazione
della santità del matrimonio, e la moda disonesta venutaci da altri mondi, e da
noi purtroppo più che tollerata, accolta e adottata.
Con la stessa affettuosa semplicità procuriamo di
crescere e cementare sempre meglio l’ammirabile concordia di intenti e di
propositi di tutto il popolo italiano nel coadiuvare le supreme autorità
politiche e militari a sostenere il peso formidabile dell’ora presente. E
mentre tanti e tanti nostri confratelli sparsi sul fronte e nel teatro di
guerra con pericolo della loro vita incoraggiano i combattenti ed assistono i
feriti, anche noi prestiamo volenterosi l’opera nostra nell’aiutare i vari
Comitati di assistenza e di carità sorti in mezzo a noi, nel visitare i malati
ed i feriti che verranno portati nei nostri ospedali, nel consolare le afflitte
loro famiglie, nell’esercitare insomma quella divina carità, che è paziente, benefica, a tutto si
accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (Cor. XIII, 4,7).
Ma alla semplicità della colomba aggiungiamo sempre la
prudenza del serpente. E perciò asteniamoci da qualsiasi atto o discorso sia
pubblico che privato, che potesse comecchesia alterare quella armonia e quella
concordia di menti e di cuori, che in quest’ora solenne fa palpitare di un
palpito solo ogni anima italiana. […] Lungi da voi ogni discussione
intempestiva e pericolosa; badate inoltre che siamo nella zona di guerra e
sotto l’impero della legge marziale […]»[1].
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