Leggi
con attenzione questo testo. Al termine dell’articolo trovi una serie di
osservazioni che ti aiutano a comprenderlo meglio e a svilupparne le tematiche.
Internet sotto
accusa
I pentiti
dell’utopia digitale
di Massimo Gaggi
(Corriere della Sera, martedì 19 dicembre 2017)
La missione fallita di Twitter nelle
parole del cofondatore, Evan Williams: «Credevo che dare più libertà alla gente
di scambiare idee e informazioni in rete bastasse di per sé a creare un mondo
migliore. Sbagliavo, Internet è a pezzi». Poi l’ex presidente di Facebook, Sean
Parker, che si definisce obiettore di coscienza dei social media dopo aver
visto come «Facebook e gli altri hanno costruito il loro successo sullo
sfruttamento della vulnerabilità della psicologia umana: Dio solo sa cosa
stanno facendo al cervello dei nostri figli».
In mezzo pentimenti e denunce di molti
manager che hanno partecipato alla costruzione del mondo digitale nel quale
viviamo: da Tristan Harris, ex design ethicist di Google («i tecnici che hanno
creato la tecnologia che ti spinge a consultare in continuazione il cellulare
tra loro la chiamano brain hacking», hackeraggio del cervello) a Roger McNamee:
«Ho investito e guadagnato molto con Google e Facebook nei primi anni, ma oggi
mi rendo conto che, come nel caso del gioco d’azzardo, della nicotina,
dell’alcol e dell’eroina, Facebook e Google (quest’ultima soprattutto
attraverso YouTube) producono felicità di breve periodo con pesanti conseguenze
negative nel lungo termine: gli utenti non si accorgono dei segnali di
dipendenza fino a quando non è troppo tardi. La giornata ha solo 24 ore e
queste compagnie competono per conquistarne la maggior parte possibile. Il capo
di Netflix dichiara che il suo principale concorrente «non è Amazon ma il sonno
dei suoi spettatori».
Poi Antonio Garcia Martinez che confessa:
«Per due anni ho avuto l’incarico di trasformare i dati di Facebook in denaro,
usando qualunque strumento legale. Se fate ricerche su Internet o comprate
oggetti in un negozio e poi trovate su Facebook delle pubblicità legate alle
vostre ricerche e ai vostri acquisti, prendetevela con me: ho partecipato alla
creazione di questa tecnologia». Oggi si dice pentito e legge con angoscia le
notizie che arrivano dall’Australia: Facebook in una riunione con gli
inserzionisti pubblicitari che doveva restare riservata ha detto di avere la
capacità di individuare i teenager più vulnerabili «perché tristi, stressati,
depressi, insicuri, sconfitti».
Ultimo, qualche giorno fa, Chamath
Palihapitiya, ex vicepresidente di Facebook per la crescita degli utenti: ha
confessato di sentirsi «tremendamente in colpa» per aver sviluppato le
tecnologie che «stanno distruggendo il tessuto sociale». Per essere più chiari:
a forza di like e pollici all’insù, «abbiamo creato un sistema di feedback
alimentato dalla dopamina che distrugge il funzionamento della società. Niente
più discorso civico, niente cooperazione. Invece disinformazione. E stravolgimento
della realtà».
Denunce ormai numerose e impressionanti
che non vengono da esterni con gli occhi rivolti al passato, ma dagli stessi
protagonisti di una rivoluzione digitale che ha regalato progressi e novità
entusiasmanti a tutti noi, ma dotata, al suo interno, di un enorme potenziale
distruttivo: una materia da gestire con una saggezza che fin qui è mancata.
Accuse a raffica che fanno riflettere, ma non vanno prese a scatola chiusa:
vengono da «pentiti» che, dopo aver lasciato la Silicon Valley, si sono messi a
fare altro e possono avere interesse a ripudiare le loro esperienze precedenti.
Come il Palihapitiya della riscoperta della dimensione etica: le sue
riflessioni morali trasformate in sonori atti d’accusa sembrano sincere, ma
forse servono anche a dare lustro a Social Capital, la sua nuova società
d’investimenti «dal volto umano».
C’è dell’altro, però: le prime risposte di
Big Tech. Dopo aver opposto per anni un ostinato silenzio alle accuse degli
scienziati e dei media, Facebook è uscita allo scoperto riconoscendo le sue
responsabilità politiche e promettendo un’efficace autoregolamentazione solo
quando, nel clamore del Russiagate, ha temuto che le regole arrivassero per
legge. Poi un sorprendente comunicato per rispondere al suo ex vicepresidente
nel quale la società non sostiene che Palihapitiya dica il falso. Solo che
«quando Chamath era con noi eravamo un’azienda focalizzata sulla crescita.
Allora eravamo una compagnia diversa. Ma lui è andato via sei anni fa. Oggi
siamo cresciuti e siamo consapevoli delle nostre responsabilità». Insomma:
errori di gioventù, siamo cambiati, fidatevi di noi.
E i danni sociali fatti finora? Anche qui,
dopo un lungo silenzio, quattro giorni fa da Facebook è venuta un’ammissione
attraverso un post del capo della ricerca del gruppo, David Ginsberg e della
ricercatrice Moira Burke: passare troppo tempo sui social media fa male. Per i
maliziosi è solo una finta ammissione: i due poi spiegano che a far male è
l’uso passivo dei social, mentre se uno è attivo, se interagisce con like,
cuoricini e commenti, i danni non ci sono. Ma intanto il muro è stato infranto:
si riconosce il valore di studi scientifici fin qui ignorati.
E la ricerca delle debolezze psicologiche
dei ragazzi australiani che non è storia di 6 anni fa ma di oggi? In un’altra
nota Facebook non nega, ma dice che le notizie pubblicate sono fuorvianti: «Non
offriamo (agli inserzionisti) strumenti per bersagliare gli utenti sulla base
del loro stato emotivo». Controreplica di Martinez: e allora perché «offrite
sistemi di targeting basati su tecniche psicometriche per delimitare,
nell’audience, dei sottoinsiemi più suscettibili al messaggio di un
inserzionista?». Per la prima volta, dunque, qualcosa si muove nella Silicon
Valley, ma è difficile che queste società, tenute a puntare soprattutto al
profitto, riescano a trasformare i social in prodotti dotati di una coscienza.
L’esempio più significativo della «sbadataggine etica» arriva dal fondatore di
LinkedIn, Reid Hoffman. I social media creano dipendenza? Bè, sì, un pò,
ammette.
E poi minimizza: «È già successo altre
volte, ad esempio con lo zucchero». Hoffman dimentica (o forse non sa) che
mezzo secolo fa, ai tempi dell’esplosione del consumo dello zucchero negli Usa,
media e scienziati che ne sottolineavano i pericoli furono messi a tacere dalla
lobby dei dolciumi e delle bibite. Risultato: oggi l’America è un Paese di
obesi con un’epidemia di diabete, anche infantile, senza precedenti.
Aspetteremo passivamente anche l’arrivo di un’epidemia di diabete digitale?
Comprensione del
testo
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il gruppo del titolo (compreso l’occhiello -verifica
il significato di questo termine nel linguaggio giornalistico!-)
-
Titolo
e occhiello hanno una funzione diversa? Quale?
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il paragrafo iniziale:
-
Contiene
già la tesi dell’articolo? Come potresti riassumerla?
-
In
che modo l’autore riesce a dar maggior peso alla propria tesi?
-
Il
paragrafo si chiude ponendo un problema che suscita la preoccupata curiosità
del lettore?
-
Cosa
significa in questo contesto l’espressione “obiettore di coscienza”?
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il secondo paragrafo (“In mezzo pentimenti e denunce…”):
-
A cosa vengono paragonati i social media? Questo paragone ha in
realtà lo scopo di generare nel lettore un giudizio negativo?
-
Quali
espressioni nel testo contengono un significato moralmente negativo?
-
La
felicità dovrebbe rappresentare un valore positivo; invece che caratteristiche
ha assunto con internet?
-
Dove
riconosci nel testo l’affermazione che la situazione attuale sta diventando
insostenibile e innaturale?
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il terzo paragrafo (“Poi Antonio Garcia Martinez che confessa…”):
-
Secondo
te, perché nel presentare la testimonianza il giornalista usa il termine “confessa”?
Questa parola vuole orientare il giudizio del lettore? Ci sono altri termini
che hanno la stessa funzione?
-
Qual
è il vero scopo di Facebook? Gli utenti ne sono consapevoli?
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il quarto paragrafo (“Ultimo, qualche giorno fa…”):
-
Facebook
ha solo effetti individuali o agisce anche a livello sociale? Quali sono gli
effetti negativi più preoccupanti?
-
E’
un caso che gli ultimi tre periodi siano costituiti da frasi nominali? Che effetto
produce questa scelta stilistica? Prova a sviluppare la riflessione sulle
affermazioni contenute in questo passaggio.
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il quinto paragrafo (“Denunce ormai numerose e impressionanti…”):
-
C’è
qualche aspetto che può mettere in dubbio l’autorevolezza delle testimonianze
finora presentate?
-
Sei
tuttavia sicuro che questi elementi smentiscano in modo inconfutabile le
affermazioni fin qui riferite? Oppure si potrebbero comunque considerare
valide?
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il sesto paragrafo (“C’è dell’altro, però…”):
-
Come
Facebook risponde alle accuse? Quali contromisure ha adottato?
Leggi
il settimo paragrafo (“E i danni sociali fatti…”):
-
Cosa
Facebook è stata costretta ad ammettere?
-
Tuttavia
quale obiezione muove alle critiche che la riguardano?
Leggi
l’ottavo paragrafo (“E la ricerca delle debolezze psicologiche…”):
-
Con
quale argomento l’autore confuta le giustificazioni presentate da Facebook?
-
In
che modo l’azienda controbatte anche a queste ulteriori contestazioni?
Leggi
il paragrafo conclusivo (“E poi minimizza…”):
-
Questo
paragrafo in realtà prosegue una ammissione riportata già nel paragrafo
precedente: qual è e da chi viene pronunciata? Perché in quel punto l’espressione
«sbadataggine etica» è collocata tra
virgolette?
-
Quale
argomento è proposto dall’autore come prova conclusiva della propria tesi?
-
Che
tipo di conclusione è scelta dal giornalista? La trovi efficace? Perché?
Quantitativamente sono
più le righe in cui l’autore riferisce la propria opinione o quelle in cui
riporta fatti o opinioni altrui?
Secondo te, su
questo argomento l’autore ha trascurato alcuni elementi?
Cerca ulteriori
informazioni sul tema ed altre opinioni sia a favore sia contro.
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